Incontro inusuale e sorprendente quello tra il film “Atlantide” e la Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Il regista Yuri Arcani torna alla Biennale dopo una decina di anni dai suoi corti “Il Capo” e “Piattaforma Luna”, presentando quest’anno al Lido il suo primo lungometraggio di finzione “Atlantide”.
Protagonista una Venezia inedita, lontana dal turismo e dal commercio, in cui i giovani seguono in modo molto ortodosso la religione del barchino (piccole imbarcazioni dal motore modificato ed equipaggiate con potenti e moderni impianti stereo e luci led). I ragazzi di queste isolette sfrecciano sull’acqua a bordo delle piccole imbarcazioni, che modificano continuamente per aumentarne la potenza, in un’ossessiva e continua competizione, in un’illusoria fuga dalla solitudine. E’ una laguna molto diversa quella che Arcani porta sullo schermo rispetto alla Venezia dominata dal turismo, al centro la marginalità dei ventenni delle isole lagunari, completamente assenti nel racconto della Venezia mainstream. Due Venezie, una di fronte all’altra in sala, separate solo dallo schermo.
I ragazzi di Atlantide rappresentano una generazione di ventenni dimenticati e ingabbiati in un luogo dove l’acqua rallenta la frenesia del mondo moderno. Il film racconta in particolare la storia di Daniele, giovane dell’isola di Sant’Eremo che, emarginato dal gruppo dei suoi coetanei, cerca riscatto e accettazione nella velocità del suo barchino da pseudo-competizione, compiendo azioni che lo porteranno in una parabola di discesa autodistruttiva.
Ritratti inconsueti e estremamente realistici dominano nell’ora e 44 minuti firmata da Arcani. Il regista fa parlare i ragazzi, li segue e lascia che siano loro a raccontarsi, a costruire i loro personaggi.
Come egli stesso ha dichiarato nelle note di regia: “Atlantide è un film nato senza sceneggiatura. I dialoghi sono rubati dalla vita reale, e la storia si è sviluppata in divenire durante un’osservazione di circa quattro anni, seguendo la vita dei ragazzi. Questo metodo di lavoro mi ha dato la possibilità di superare il limite di progettazione tradizionale nel cinema: prima la scrittura e poi la realizzazione. Così il film ha potuto registrare in maniera reattiva questo momento di grande cambiamento di Venezia e della laguna, da un punto di vista difficile da percepire, attento allo sguardo degli adolescenti. Il desiderio di vivere così da vicino le loro vite, dentro i loro barchini, ha reso possibile tutto il resto: il film si è lentamente costruito da solo.”
Originale e riuscita la scelta di affidare parte della colonna sonora a Sick Lucke, storico produttore trap della Dark Polo Gang che in merito al film ha dichiarato “Mi ha fatto conoscere un lato di Venezia del tutto nuovo, che mi ha ricordato il mondo dei pischelli romani con il motorino truccato”. E ad accomunare l’agonia di questi giovani della laguna ai loro coetanei è secondo il regista “la stessa violenza, quella cui sono condannati nella nostra società i maschi, specialmente i giovani, obbligati a sottoporsi a riti sociali da cui uscire vincenti o falliti.” Da questo realismo emerge il grido corale di una generazione, accompagnata da una musica a lei vicina e rappresentativa. “Atlantide” apre le porte di un cinema che, seguendo il ritmo del documentario, ci presenta, attraverso immagini e inquadrature da un’estetica studiatissima, una Venezia molto diversa dalle cartoline.
Greta Gorzoni