“Se esisteva una metafora esatta della giustizia italiana, be’, era quella. Un cantiere in perenne emergenza. Un pezzo di Stato che rischia di venire giù e, di fronte allo sguardo lontano e distratto della politica, si arrangia tra calcinacci e rassegnata sopportazione.”
Ti mangio il cuore – il libro
Ispirato all’omonimo libro di Giuliano Foschini e Carlo Bonini, Ti mangio il cuore è il film di Pippo Mezzapesa con Michele e Brenno Placido, Francesco Patané e Elodie, che introduce sul grande schermo uno scenario ancora per il largo pubblico sconosciuto: la mafia del Gargano.
La cosiddetta mafia dei montanari, tramandata da padre in figlio, con oneri e “onori”, si sviluppa – e qui bisogna considerare il contesto delineato nell’opera editoriale – per mano di Cutolo negli anni ‘70, per poi diventare un affare di “famiglia” da parte proprio degli abitanti di quelle zone, indipendente da altre organizzazioni mafiose, seppur in affare con queste. Così, sconosciuta e nell’ ombra, fa sì che i clan crescano, le famiglie di arricchiscano e le morti si accumulino.
Nel film, Andrea e Marilena sono i protagonisti di una nuova fase di una storica faida tra due famiglie, i Malatesta e i Camporeale. Lei, la moglie rispettata di un boss mafioso latitante; lui, il figlio del boss Malatesta, conosciuto e temuto per aver vendicato l’omicidio di suo padre, sua madre e i suoi fratelli, anni prima.
I due sembrano legati da una passione irriverente che li coglie d’improvviso durante una processione di paese. Sono attratti l’una dall’altro e iniziano una relazione, non curanti delle dinamiche di cui fanno parte e dei pericoli che corrono. Ma l’omicidio del boss Malatesta, padre di Andrea, cambierà le dinamiche e le gerarchie, e il potere verrà trasmesso al figlio, che a sua volta dovrà cercare la vendetta. La rabbia, la cattiveria e gli affari prendono il posto che aveva preso il sentimento verso Marilena. Andrea è un boss ora e, guidato da sua madre, affamata di sangue più di lui, farà strage della famiglia di cui proprio Marilena fino a poco tempo prima faceva parte.
“Era bella, Rosa, bellissima. Come un fiore raro. I capelli scuri, il corpo, la parola, lo sguardo, tutto, in lei, trasmetteva straordinaria dolcezza e, insieme, infinita durezza.”
Così nell’omonimo libro-inchiesta gli autori descrivono Rosa di Fiore, la donna a cui è ispirato il personaggio di Marilena, interpretato dall’esordiente Elodie, che fortunatamente decide di intraprendere l’esperienza attoriale proprio in questa occasione, superando le aspettative. Un’attrice ben più apprezzabile di altre dello scenario italiano.
Un personaggio complicato, una donna potente, anche se troppe volte vittima. Una moglie che “non si occupava solo dei figli. Non ascoltava in disparte. Non era un angelo muto del clan. Lavorava e osservava il business della famiglia – la droga – godendo della straordinaria ricchezza che produceva e del rispetto di cui godeva quel cognome […] “. Lo si percepisce nei primi minuti del film, il rispetto per lei.
Ma pare una semplice apparenza. La donna temuta, la donna potente, butta via tutto per un ragazzo.
Una storia d’amore, o quel che ne rimane, se viene considerato il contesto. L’amore ai tempi della mafia. Andrea è costretto a fare quello che ci si aspetta da lui, quello che, in quanto primogenito, è destinato a diventare. Basta un sospetto per individuare il colpevole dell’omicidio di suo padre. E, a causa di questo, anche gli omicidi.
La vicenda di Rosa e Matteo, Marilena e Andrea nel film, è solo una piccola parte di ciò che viene portato alla luce nel testo di Foschini e Bonini. Stiamo parlando di mafia, con una foltissima – purtroppo – scelta tra eventi sanguinosi, affari, criminalità e spietatezza. Quella che viene riportata sembra prendere una forma fantastica, un Romeo e Giulietta della criminalità organizzata. Le colpe dei padri cadranno sui figli, e viceversa, inevitabilmente, finché qualcuno non spezzerà questo loop.
Il film è esteticamente interessante, una fotografia coraggiosa che racconta, anche più della sceneggiatura, una Puglia sconosciuta in cui l’occhio spazia tra porcilaie, fattorie putride e le bellissime Saline di Margherita di Savoia.
Una speranza, che questo film riesca nell’ intento di introdurre una tematica così vicina ai nostri occhi, così diffusa e ancor oggi, fin poco contrastata.
Sarah Corsi