Si è svolta ieri, domenica 28 settembre alle 17.30 all’Ex Chiesa di San Mattia a Bologna, la prima parte di tre programmi dedicati alla cineasta sperimentale franco-peruviana – ma di origini britanniche – Rose Lowder. Queste tre proiezioni, racchiuse nella sezione “La Natura dell’archivio” di Archivio Aperto, il festival di Fondazione Home Movies, danno la possibilità al pubblico di esplorare parte della filmografia di un’autrice da noi poco conosciuta. La regista è inoltre presente a Bologna e ieri ha intrattenuto una lunga conversazione con Laura Vichi, la curatrice della rassegna, rispondendo alle molte domande di un pubblico giovane e interessato, rendendo l’occasione ancora più unica.
Essendo la sezione dedicata alle contaminazioni tra mondo botanico e memoria sotto forma di pellicole e archivi, va da sé che, vedendo i filmati di Lowder, la rassegna sembra essere stata costruita per lei.
L’opera di Lowder si concentra, come lei stessa ha detto al termine della proiezione, sul reale, sapendo però che dal momento stesso che un qualcosa di reale viene registrato, ciò che è contenuto nella ripresa non fa più parte della realtà. Sulla base di questa importante nota autoriale, è facile leggere i film che ieri sono stati mostrati. Nota per la sua serie di “Bouquets”, di cui ieri sono state proiettate le prime due decine (1-10 e 11-20), i films sono piccoli montaggi della lunghezza di poco più di un minuto che alternano immagini rubate al mondo naturale come fiori, piante, acqua e animali, a piccoli scorci di antropocene. L’alternanza è uno degli aspetti più ragguardevoli di queste composizioni, giocate su un montaggio sincopato, veloce, scattoso, frammentato, a volte fastidioso per gli sprazzi di colori e luce (e buio) improvvisa che si alternano al movimento innaturale delle immagini dovuto ai tagli di pellicola, che conferiscono alle opere un affascinante effetto stop motion. Tutto questo non fa che confermare quanto dichiarato dall’artista: ciò che riprendo esiste, è reale, ma lo stato vedendo sotto un’altra luce, come se provenisse da un altro mondo. A volte Lowder ci illude, lasciando scorrere le immagini per qualche secondo senza agire sul girato, per poi riportarci in un mondo inesistente, fatto di sovrapposizioni di pellicole, con fiori che si incrociano alle staccionate che li contengono, o animali che diventano le piante tra le quali sono soliti nascondersi o di cui si nutrono. I “Bouquets”, che in questo caso non sono mazzi di fiori, bensì una composizione di immagini che, come i vegetali raccolti, vanno a formare un insieme e si insinuano nel nostro occhio e nella nostra mente, sembrano sussurrarci che il mondo è plurale, che non esiste un unico punto di vista. L’occhio umano è solo uno dei tanti, forse quello più consapevole di ciò che lo circonda, eppure a questa consapevolezza non corrisponde quasi mai l’attenzione dovuta al resto dell’ambiente in cui egli stesso vive. Il sussurro, dunque, girato tra il 1993-1994, si fa grido nella seconda serie, girata invece tra il 2005 e il 2009, un tempo nel quale poco, forse niente, è cambiato. Ogni filmato, come l’artista stessa ha tenuto a specificare, viene girato in uno stesso luogo, e richiede tanti giorni di riprese, e se le condizioni atmosferiche non lo permettono, bisogna attendere il ritorno di un tempo più favorevole. Per questo motivo, anche un filmato di pochi minuti può richiedere tanti giorni di lavoro sul campo. Ma una degli aspetti più sorprendenti di questa seconda decina (in realtà cronologicamente terza, dal momento che per una serie di problematiche tecniche e metereologiche il completamento del lavoro ha subito un ritardo) è che il movimento delle immagini è stato creato direttamente durante le riprese, grazie a una particolare tecnica che ha permesso a Lowder di fare letteralmente saltare la pellicola da un punto a un altro, fotografando uno stesso soggetto in piazzamenti diversi. La poesia e la tecnica di questa autrice, che ha insegnato Teoria ed estetica del cinema sperimentale all’università di Paris I e che ha lavorato come editor assistant per la BBC, si intravedono già in uno dei suoi primi lavori, “Boucles-Loops”, una serie di opere creata tra il 1976 e il 1997, di cui abbiamo potuto visionare una riduzione. Creata, non girata, perché qui Lowder agisce direttamente sulla pellicola 16mm, il mezzo a cui è sempre rimasta fedele per tutta la sua carriera, bucandola e disegnandoci sopra. Una linea blu appare, corre, danza, gioca, da sola e poi in compagnia di due cerchi, sempre più veloce, sempre più animatamente. Il non vivo prende vita, l’invenzione di una linea e un punto ci divertono, creano emozioni come in una delle storie più struggenti, e in sei minuti finiamo per provare simpatia per quelle che sono, “soltanto”, delle figure, dei segni, che grazie alla mano e alla mente di un’artista acquistano anima e significato.
“Ciò che vediamo proiettato non è quello che viene visto sulla pellicola”, dice Lowder: “l’ingrandimento e il movimento, fanno sì che un buco creato ogni due fotogrammi permetta a una linea retta di darci l’illusione di entrare dentro a quei cerchi, e se fatti ogni tre, che sembri correrci dentro”. È uno scarto di percezione, una differenza forse semplice, a sentirla, ma enorme a pensarla sul banco del regista, del creatore.Nelle ultime due proiezioni di ieri, “Jardin du sel” (2011) e “Sous le soleil” (2011), si è potuta vedere l’ibridazione di quanto detto finora – che ha poi influenzato il resto della sua filmografia, composta da circa sessanta opere -. Soggetti ecologici – sale e acqua nel primo, vegetali e terra nel secondo – naturalistici, ma ripresi da punti insoliti che, nonostante lo stile al limite del documentaristico, creando effetti pattern sorprendenti, li fanno sembrare spesso altro, qualcosa di non terrestre. Le immagini che sono create tramite la disposizione degli elementi, questa volta naturalistici, ci ricordano il vivere stesso della regista, che anche tra le risposte alla domande di ieri, ha trovato il modo di alzare il proprio vessillo ambientalista, ricordando che è importante fare scelte che rispettino il mondo che ci circonda, non solo quando si tratta di cinema, ma anche nella vita quotidiana: da artista e cittadina, da laica e politica, da essere umano.
L’invito è dunque quello di cogliere un’occasione unica, quella di vedere ancora domani, martedì 30 settembre alle 17:30 all’Ex Chiesa di San Mattia in via Sant’Isaia 14, a Bologna, i films – oltre che di poterla ascoltare dal vivo – di questa artista unica, materica, sperimentale, ecologica, vitale.
Federico Benuzzi
