Regia di Nikolaj Arcel
Dopo numerosi tentativi di colonizzazione, voluti e finanziati dal Re in persona, la vasta brughiera dello Jutland, una remota regione danese, rimane ancora un luogo inospitale e disabitato: nessuno è mai riuscito a coltivarla, domarla, popolarla. Nel 1755, il glaciale capitano Ludvig Kahlen (Mads Mikkelsen) si propone di ritentare l’impresa, ma osteggiato dal consiglio del Re, riesce a convincerlo soltanto proponendo di finanziare da solo l’operazione. Il suo obiettivo reale è ottenere, grazie alla buona riuscita dell’impresa, un titolo nobiliare, oltre che la proprietà e la servitù. Trasferitosi, comincia la sua campagna di bonifica, ma gli ostacoli incontrati fino a quel momento si rivelano più gravi del previsto, e l’assenza di manodopera rende tutto più complicato. Nel giro di poco tempo, lo raggiungono un gruppo di nomadi, che abbandona a lui una bambina, e una coppia, un agricoltore e una domestica, in fuga dal signorotto locale, De Schinkel (un Simon Bennebjerg che porta a casa un’ottima performance laddove era facile scadere nello scimmiottamento), un uomo sadico e senza morale che si proclama illegittimamente proprietario della brughiera, iniziando a combattere con ogni mezzo i piani di Kahlen.
Mentre il capitano si trova in una situazione di stallo pratico, complici anche i tanti ostacoli sul suo percorso, attorno a lui si crea un ambiente umano non previsto: l’affetto verso i suoi aiutanti e la bambina crescono, così come la pressione esterna sia del Re per la riuscita dell’operazione, che da parte di De Schinkel che vorrebbe invece cacciarlo a ogni costo, arrivando a uccidere con l’acqua bollente, in una scena cieca ma cruenta, l’agricoltore fuggiasco. Il capitano si trova così a dover gestire il delicato equilibrio del territorio inospitale, le credenze degli aspiranti coloni che vedono nella bambina una figura stregonesca, mentre pian piano iniziano a vedersi i frutti del loro lavoro. Ma questo non basta affinché tutto si risolva per il meglio.
“Bastarden”, danese per “La terra promessa”, di Nikolaj Arcel (regista anche di “Royal Affair” e co-sceneggiatore di “Uomini che odiano le donne”), è un film che parla di un’impresa impossibile ricercata per tutti i motivi sbagliati, in misure e situazioni figlie del tempo in cui è ambientato: l’avidità, la ricerca del potere e dell’opulenza. È la storia di un uomo freddo, solitario, preciso e calcolatore, a tratti disumano, che scopre la ricchezza del contatto con gli altri e della condivisione e la propria sfera emotiva, con la quale combatterà fino alla fine del film. Le figure chiave di questa scoperta sono la domestica Ann Barbara (Amanda Collin, perfetta fino a regalarci una delle iconiche scene finali), con la quale inizia a intrattenere un rapporto inizialmente fisico che si trasforma silenzioso in simbiosi di intenti e sentimenti, qualcosa di simil-fantascientifico visto il carattere del protagonista), e Anmai Mus (Melina Hagberg, a conti fatti valore aggiunto imprescindibile nell’economia dell’opera), la furba, sveglia e amorevole bambina nomade per la quale dovrà prendere scelte controverse per la nostra morale e in conflitto con i suoi obiettivi.
Un film che analizza tematiche care al nostro tempo come razzismo, pregiudizio, il potere degli uomini, l’apertura verso gli altri, l’ingiustizia, e la forza di un’idea che, arricchita dalla costruzione di rapporti interpersonali, si trasforma in ideale. La sceneggiatura, firmata dallo stesso Arcel assieme a Anders Thomas Jensen (“La duchessa” e “The Salvation”), struggente e classica, ma che non perde occasione di stupirci, rimanendo semplicemente fedele al tempo dell’ambientazione e all’umanità seriosa dei personaggi, ci mostra in maniera precisa la rivalsa di un uomo attraverso una via crucis autoimpostasi che rende impossibile non empatizzare col protagonista, anche nei momenti più controversi.
Ad aiutare la narrazione ci pensa la fotografia secca e monumentale di Rasmus Videbæk (“La torre nera” e “Thor: Ragnarok”), capace di far sentire sola la solitudine nelle terre aperte, fredde e vaste, e al tempo stesso anche nella situazione più accogliente e amorevole nelle scene più intime e raccolte.
La semplicità della storia e i pochi personaggi molto polarizzati e freddi non confliggono in maniera errata con le situazioni più calde e sentimentali, e anzi, forse proprio grazie a questo contrasto, il film riesce a farci scoprire tanto di noi e del peso che hanno i rapporti che instauriamo.
Federico Benuzzi
