Regia di Pietro Castellitto
Alla sua seconda prova da regista, dopo la vittoria del premio alla sceneggiatura nella categoria Orizzonti nel 2020, Pietro Castellitto approda nella massima categoria con Enea. Per questa edizione della Mostra, gli viene concesso un posto in Concorso Ufficiale, riuscendo a scalzare persino Shadow of Fire, la riconferma – come se ce ne fosse bisogno – del talento di Shin’ya Tsukamoto, che invece finisce in Orizzonti.
Il film mostra le vicende di due amici borghesi della Roma ‘bene’, tra questioni familiari irrisolte e situazioni da gangster movie. Enea (Pietro Castellitto) e Valentino (Giorgio Quarzo Guarascio), amici d’infanzia, passano le loro fruttuose giornate dandosi al ‘cazzeggio’, qualità generazionale secondo Castellitto: partecipano alle feste, si innamorano e saltuariamente, in tutta tranquillità emotiva, si danno allo spaccio. Non si sa bene se a muovere le loro azioni sia la noia, o una più credibile idiozia integrale, dimostrata peraltro più volte dal personaggio spaesato interpretato da Guarascio, o magari una sintesi di entrambe. Castellitto suggerisce invece, molto umilmente, si fa per dire, che a muoverli sia «il mistero della giovinezza», e di aver scritto personaggi che agiscono non per i soldi o per il potere, ma per la voglia di «testare il cuore, capire fino a che punto ci si possa sentire vivi oggi». Dichiarazioni che, alla prova dello schermo, restano tali, e frutto di idee magari presenti in nuce nella sceneggiatura, ma poi non pienamente concretizzate nel girato.
Enea e Valentino, procedendo in azioni avventate, si mettono contro buona parte della malavita romana e finiscono tra il martello e l’incudine in un regolamento di conti tra clan dal quale, non sperano mai ma anzi, sembrano sempre convinti di potersi salvare, quasi non toccasse neanche a loro. Ma i clan a ben vedere sono tre: accanto ai malavitosi c’è quello della famiglia, all’apparenza un nucleo compatto ma che poi, nell’intimità di ogni membro, si mostra in tutta la sua fragilità. La componente autobiografica è manifesta, il regista la esplicita nella scelta del cast inserendo padre e fratello minore, e vestendoli con gli stessi panni che questi indossano anche nella vita reale.
Il problema principale del film, oltre che in interpretazioni poco ispirate (Sergio Castellitto) o molto acerbe (Cesare Castellitto e Giorgio Guarascio), si avverte nella mancanza delle motivazioni che dovrebbero spingere i protagonisti ad agire, e anche quando esse ci sono, vengono lanciate in faccia allo spettatore per mezzo di frasi e battute posticce, spesso retoriche, messe in bocca ai personaggi. Di contro si rileva una grande voglia di sperimentazione, ad esempio con soggettive inedite come quella iniziale del gabbiano, che si trasforma in un secondo momento in quella esilarante del guano dello stesso, in caduta libera sulla spalla di Enea.
Le capacità affiorano, e anche la voglia di arrivare e di mettersi in gioco, in un’industria stantia che fatica a imporsi sulle scene internazionali. Un film che sicuramente può fare bene all’estero, magari anche più di Adagio o di Comandante (entrambi in gara a Venezia) che hanno componenti più marcatamente ‘regionali’, col rischio di rimanere confinati in penisola, ma che, forse, non meritava l’ingresso in Concorso ufficiale.
Tommaso Quilici
