di Pablo Larraín (Italia, Germania, USA)
con Angelina Jolie, Pierfrancesco Favino, Alba Rohrwacher
A cinema dal 1/01/2025
Il corpo di Maria Callas (Angelina Jolie) giace nel suo appartamento di Parigi, ma nessuno degli astanti sembra particolarmente stranito dal ritrovamento. Il lungo flashback che compone il film, partendo da sette giorni prima, ce ne spiega i motivi, dipingendo il quadro mentale e fisico, tragico e irrimediabile, nel quale riversava la cantante lirica.
Questo ennesimo capitolo biografico nella filmografia di Larraín è un’opera abitata da fantasmi, allo stesso modo in cui lo è la mente della cinquantatreenne Callas. Sono fantasmi spaventosi, come la gioventù in Grecia durante l’occupazione nazista caratterizzata dallo sfruttamento da parte della madre, o gloriosi e felici, come la carrellata di momenti di sue performances o gli incontri con Onassis (Haluk Bilginer), ma tutti infestano la mente della Diva. E ai fantasmi la Callas dà sempre ragione, li cerca e li insegue, mentre ai vivi, al presente, si oppone, come fa coi consigli di maggiordomo e cuoca (Favino e Rohrwacher), col medico, e con la voce che non c’è più. Per immergersi tra questi fantasmi è necessario crearne altri, intossicandosi e immaginando intervistatori, adulatori o orchestre ad hoc, mentre scrive la sua autobiografia ma “nella mia testa”, luogo dove si trova anche il palcoscenico su cui si esibisce ora: un altro fantasma – effimero -, nonché unico luogo dove può essere ancora, o forse per la prima volta, libera. Anche di morire.
Maria si inserisce, come detto con Jackie e Spencer, nel filone biografico del regista, che un anno dopo la “pausa” di El Conde ritorna su una grande figura femminile del Novecento. Questo filone non esiste solo per queste poche caratteristiche, ma ha ovvie congiunzioni anche stilistiche, di forma e di contenuto. Tanti i rimandi registici di questo tipo alle due opere precedenti, che fanno apprezzare il lavoro filologico svolto tra questa piccola cerchia di titoli. E, come gli altri, Maria è onesto e incorniciato, troppo. El Conde era sì un film imperfetto a essere generosi, ma dava l’idea che lo stesso regista – in quel caso anche autore – non si fosse limitato al compitino. Da sottolineare la prova, molto attesa, di Angelina Jolie, (fortunatamente) non mimetica ma convincente.
Di Federico Benuzzi
