A partire dal 2019, l’area ex-industriale di Montréal ha subito un progressivo processo di gentrificazione, che ha portato all’aumento dei prezzi degli affitti e, di conseguenza, al numero di sfratti da parte dei vecchi e dei nuovi proprietari, che hanno colto nuove opportunità economiche. A spingere questa transizione, è stata l’approvazione di un grande progetto, il MIL, promosso dall’Università di Montréal, che ha trasformato un’area di trentotto ettari in un enorme campus universitario. La recente costruzione ha quindi attirato nuovi investimenti immobiliari, saturando il mercato degli affitti e alimentando la speculazione. A farne le spese è stata, in primis, la comunità locale: madri single, persone con disabilità, immigrati o, come ci mostra il cortometraggio, donne anziane sole, e artiste ben radicate nel tessuto urbano.

Juste un toit segue da vicino la precaria situazione di Jeannette Chiasson e Frances Foster. Entrambe hanno ricevuto un avviso di sfratto: Jeannette è alla disperata ricerca di una nuova soluzione abitativa che sembra sempre più lontana e irraggiungibile, mentre Frances si oppone alla realizzazione della nuova distilleria nel quartiere di Marconi-Alexandra, dove abita da oltre trent’anni. La Legge non può aiutarle con una soluzione a lungo termine, e il Comune, a detta dei politici locali, non può fare altro che farsi da parte e assistere passivamente di fronte allo strapotere economico delle grandi realtà private.

La tecnica del documentario mette lo spettatore a stretto contatto con una situazione reale di vita, suscitando un senso di vicinanza alla tragedia vissuta dalle due donne, rafforzando la consapevolezza che ciò che vediamo potrebbe accadere facilmente anche a noi. «That’s all I want, a roof» (juste un toit) chiede quasi in lacrime Jeannette davanti all’assemblea comunale, con la paura negli occhi di diventare una senzatetto di lì a pochi mesi. Altrettanto potenti sono le parole di Frances, che accosta la pandemia da poco trascorsa alla crisi degli affitti: «We lived through the covid pandemic, and now it’s the eviction pandemic». Una pandemia degli sfratti e degli affitti che non si fatica ad accostare alla situazione vissuta da molte città universitarie italiane, in cui le masse migranti degli studenti sono al contempo cause e vittime del problema della gentrificazione.

Lo sviluppo economico e urbanistico deve oggi necessariamente confrontarsi con la preservazione dei diritti civili, delle singole comunità con cui entra in contatto. Quello che per molti, Università e studenti compresi, sembra un progetto virtuoso di riqualificazione urbana, si può rivelare, sotto un’altra prospettiva, un danno irreparabile per molti individui, un vero e proprio processo di progressiva sostituzione umana e urbana che, se non arginato, finisce per travolgere le fasce più vulnerabili della popolazione locale.

Tommaso Quilici