John Lilly and the Earth Coincidence Control Office
di Michael Almereyda e Courtney Stephens (USA)
Concorso lungometraggi
Qual è il confine tra scienza e fantascienza? Qual è il limite etico che regola gli esperimenti scientifici? Che rapporto c’è tra la comunicazione animale e umana? John Cunningham Lilly sembra aver tentato di rispondere, direttamente o indirettamente, a queste e altre migliaia di domande durante la sua lunga carriera di dottore, neurofisiologo e psicoanalista. Eppure la discussione dovrebbe forse partire da ancora prima, ovvero se quella di Lilly sia effettivamente stata “una carriera”, piuttosto che decine di carriere, se non, anche, nessuna. Più si va in profondità nel film di Almereyda e Stephens, meno è comprensibile e tracciabile la figura dello scienziato statunitense, talmente vibrante e impaziente da risultare indistinguibile, al punto tale da essere definito dalla sua stessa rapsodicità, dal suo stesso vibrare al passo coi tempi. Se c’è un unico aspetto che possiamo catturare di Lilly è che, come vediamo nel film grazie a un appassionato e immenso lavoro di ricerca, è stato soprattutto un ricercatore ossessivo la cui principale fascinazione era il cervello, organo umano o animale che fosse, la coscienza e il suo controllo.
Ma facciamo un passo indietro. Da scienziato, dagli anni ‘50, Lilly ha lavorato principalmente sugli animali, in particolar modo sui delfini, ma sperimentando anche su scimmie e gatti. In un’epoca in cui il maltrattamento animale a fini scientifici era ampiamente istituzionalizzato, Lilly fu uno dei primi a mappare il loro piacere e dolore attraverso elettrodi inseriti nei loro cervelli (ricerche che vengono effettuate anche oggi), riuscendo inoltre a mostrare su un monitor la prima immagine in movimento di un cervello, quello che lui chiamò “brain tv”. È un periodo, questo, dove anche gli scienziati sentono il peso della Guerra Fredda, che nel loro ambito si tramuta in una spietata oggettività nel tentativo di per creare “un pulsante per far agire animali e umani, creare agenti studiando e stimolando le parti giuste del cervello”. Egli si concentra sugli effetti della deprivazione, motivo per cui inventa nel 1953 la “isolation tank”, una vasca chiusa colma di acqua a temperatura corporea nel quale è possibile fluttuare in totale assenza sensoriale. Lilly, il cui corpo era il proprio principale laboratorio (“my body is my laboratory”), notò che la tank era in grado di far emergere sentimenti e pensieri sepolti nelle proprie profondità. “The tank is a hole in the Universe” (la vasca è un buco nell’Universo), e infatti è lì che ha le prime visioni da “altri mondi”: lasciando il proprio corpo, dice, è diventato un “punto di coscienza e consapevolezza in uno spazio vuoto e infinito, pieno di luce”. L’oggettività e spietatezza figlia del proprio tempo, nonché quella richiesta dalla scienza, si scontrano con quella che forse è la passione più grande di Lilly, ovvero la scoperta del nuovo, l’abbattimento dei limiti. Lo scienziato inizia così a piegare su di sé le proprie ricerche, e quello che prima era solo un laboratorio diventa forse anche il campo reale del proprio studio. È così che arrivano i delfini.
Gli esperimenti nelle vasche gli portano, per associazione, interesse verso i cetacei e in particolar modo verso i delfini, piccole balene – mammiferi dunque – che sembrano dimostrare interesse e curiosità verso gli esseri umani e che vivono in una gigantesca vasca: l’oceano. Lo stretto contatto con loro porta a quella che è probabilmente la rivoluzione più importante nella vita di Lilly fino a quel momento. Come lui stesso dice: “Ho improvvisamente realizzato che avevo davanti qualcuno, un essere vivente, invece che un animale per la ricerca su cui avevo compiuto esperimenti. Sono diventati esseri misteriosi, con obiettivi misteriosi. Il cambio improvviso nella mia coscienza fu un bizzarro e strano sentimento che per la prima volta stavo incontrando un’altra specie degna di attenzione, interesse, compassione e rispetto.” L’animale che fino a un attimo prima serviva soltanto come cibo per cani o per il grasso del burrocacao, tutto a un tratto aveva un grosso cervello capace di comunicare. Nel suo volume “A Feeling of Weirdness”, Lilly dice – attraverso la voce narrante di Chloe Sevigny nel film – di essersi “sentito alla presenza di qualcosa, o qualcuno, che si trovava dall’altra parte di una barriera trasparente”, dunque di visibile e otticamente comprensibile, ma dal linguaggio inaccessibile.
Negli anni ‘60, le bizzarre ricerche di Lilly iniziano a diventare popolari: viene invitato a parlare in show televisivi e scrive libri come “Man and Dolphin”, che vengono letti in tutto il mondo. Prende anche parte a meeting esclusivi organizzati da piccoli gruppi di importanti scienziati che si incontrano per affrontare la probabilità di esistenza di vita extraterrestre; è qui che lo scienziato ruba la scena portando il discorso sul suo campo, parlando della comunicazione tra i delfini, aliena a modo proprio, dichiarando che, se si riuscisse a capirli, sarebbe allora possibile scoprire la comunicazione aliena. Forse l’impatto della popolarità con l’ego, o le maglie del rigore scientifico diventate troppo strette per l’entusiasmo e la comunicazione messianica di Lilly, ma sembrano ora vedersi i primi segni che qualcosa nello scienziato sta cambiando. Ed è in questo momento che arriva un altro scossone. John Lilly conosce Ivan Tors, il proprietario di uno dei più grandi zoo privati statunitensi, nonché della maggior parte degli animali utilizzati dagli studios per i film hollywoodiani. Tors è sposato con Constance Dowling, attrice a noi nota anche per essere stata la “donna fatale” di Cesare Pavese, a cui dedicò il suo ultimo romanzo La luna e i falò e la raccolta di poesie Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, che introdurrà Lilly all’uso dell’LSD, droga psichedelica che negli anni ‘50 era ancora legale e che veniva utilizzata spesso dai due coniugi. Lilly si perde in ciò che l’LSD gli mostra, si diverte, altri limiti vengono abbattuti, ma inizia anche a incrociare a essa il suo lavoro, finendo con l’immergersi nella vasca d’isolamento dopo l’assunzione, o a somministrarlo ai delfini che teneva nelle grandi piscine della propria casa. È il declino. Alcuni suoi collaboratori se ne vanno, pian piano il mondo scientifico lo abbandona, accusandolo di far scienza frammentata e scarsa. Lo stesso Lilly, probabilmente perso e stanco, dichiara di star passando la torcia delle proprie ricerche. Pubblicamente. Ma nella sua villa in riva all’oceano, in Florida, che rende impermeabile al fine di poterla allagare con acqua del mare e far vivere con sé i delfini, gli esperimenti, più sociali che scientifici, continuano. A lui si uniscono nuove persone che poco hanno a che fare con lo studio, mentre i delfini acquisiscono una posizione sempre più ambigua all’interno dell’ambiente casalingo. L’identificazione con essi è infine arrivata, e in quello stesso momento è terminata.
Alla fine Lilly lascerà definitivamente, in maniera piuttosto decadente e squallida, le ricerche sui mammiferi marini, ma non il pubblico. Una figura controversa come la sua, che ha attraversato alcune delle fasi più iconiche della cultura e della controcultura statunitense, a cavallo tra il mondo accademico e quello popolare, non poteva che diventare un’icona. Negli anni ‘80 e ‘90, infatti, John Lilly viene riscoperto, i suoi testi e i suoi discorsi lo rendono definitivamente un pilastro della controcultura, trasformato in un guru new age che alcuni seguaci porteranno a ispirazione per il “birth with dolphins” (il parto in acqua) o a cui la SEGA dedicherà un videogioco in cui un delfino di nome Ecco, tra le altre cose, combatte gli alieni.
Come dicevamo all’inizio, John Lilly ha vissuto, vibrato, sempre al passo coi tempi: ha attraversato il Novecento cominciando con la serietà, la dedizione e l’oggettività che l’America degli anni ‘50 gli chiedeva, passando per gli anni ‘60 e ‘70, in cui ha piegato ciò che era il suo mondo alle mode dell’epoca, arrivando al termine della propria vita (più che carriera) trasformato in un simulacro dei confusi dal suo stesso abbandono di ogni obiettività o scientificità. La prova finale sta proprio in quell’ECCO che non è solo il delfino di un videogioco, ma anche il nome dell’ultima scoperta dello scienziato, l’acronimo dell’ufficio citato nel titolo.
Questo era John Lilly, e questa era, ed è, se prolunghiamo la parabola ai giorni nostri, l’America. Lilly ha sì attraversato la seconda metà del ‘900 e sì ha avuto un ruolo culturalmente importante negli Stati Uniti, ma dopo che sia il ‘900 che gli Stati Uniti lo hanno masticato e sputato.
Un film importante, con immagini d’archivio multimediali montate con sapienza ipnotica, su una figura che oggi impone ragionamenti sul rapporto tra etica, ricerca, informazioni e sul potere che i media possono avere nel risaltare e spacciare, con ignoranza, l’assurdo per il vero.
Federico Benuzzi
