L’impero delle luci (in originale, L’Empire des Lumières) è un’opera di René Magritte del 1953-54 conservata nella Collezione Peggy Guggenheim di Venezia.
Realizzata a colori a olio, raffigura un paesaggio costituito da pochi elementi: un piccolo specchio d’acqua in primo piano e una casa con un grande albero a dominare la scena, cielo e vegetazione a fare da sfondo. Magritte divise il quadro in due scenari opposti: la notte e il giorno. Infatti, dipinse nella parte alta del quadro un cielo azzurro e limpido, attraversato da numerose nuvole bianche, mentre nella parte inferiore la casa, l’albergo e il lago sono immersi nel buio cupo della notte. Nonostante la realizzazione totalmente realistica e minuziosa, l’opera produce un senso di stupefazione nell’animo dello spettatore: il disorientamento è dovuto all’unione di due momenti come la luce e il buio che, nella realtà non possono coesistere. Ad accentuare l’effetto spiazzante è il contrasto fra la luce serena del cielo e le luci artificiali provenienti dall’interno della casa.
Sia il giorno che la notte producono una sensazione di pace e tranquillità e sembra facciano riferimento a luoghi metafisici e fatati.
Il titolo dell’opera si deve al poeta Paul Nougè. Magritte riconobbe il legame che si veniva a stabilire fra tale titolo e la tela, che in gran parte è immersa nel buio e celebra il mistero delle tenebre e dell’oscurità.
Nell’ “Impero delle luci” ho rappresentato due idee diverse, vale a dire un cielo notturno e un cielo come lo vediamo di giorno. Il paesaggio fa pensare alla notte e il cielo al giorno. Trovo che questa contemporaneità di giorno e notte abbia la forza di sorprendere e di incantare. Chiamo questa forza poesia.
E’ surreale, per l’appunto, come l’artista sia riuscito a realizzare un conflitto di immagini e un senso di inquietudine che, nonostante produca sbigottimento nell’osservatore, non lascia trasparire il suo l’intento; Magritte, senza abbandonare le tipiche tecniche convenzionali riesce a mettere in dubbio la percezione di come vediamo le cose e il mondo.
In quest’opera utilizza, infatti, la figura retorica dell’ossimoro, ossia, l’accostamento di elementi che esprimono concetti opposti: il giorno e la notte, il sole e la luna, la luce e il buio.
René François Ghislain Magritte (Lessines, 21 novembre 1898 – Bruxelles, 15 agosto 1967) è uno dei principali rappresentanti della corrente artistica del novecento chiamata Surrealismo. Il suo stile è definito illusionismo onirico e cerca in ogni modo di rappresentare il lato misterioso e oscuro della realtà. Per stupire e incantare l’osservatore, cerca inoltre di disporre gli oggetti comuni e quotidiani in contesti impensabili e fuori dal comune.

Nella storia della pittura moderna vi è un esempio di compresenza di buio e luce precedente all’opera di Magritte: a realizzarlo fu Vincent Van Gogh: negli ultimi anni della sua vita dipinse La chiesa di Auvers – sur- Oise. L’edificio pone idealmente lo spettatore al centro del sentiero raffigurato, prima che questo si biforchi nei due viottoli. I colori accessi in primo piano evocano una giornata assolata; nella parte alta del quadro, poi, non solo non splende il sole, ma il blu cobalto e intenso del cielo suggerisce la profondità della notte. Nell’opera di Van Gogh, però, nulla ha contorni precisi e definiti: tutto è come alterato dalla forza emotiva del pittore. Magritte, invece, impiega un tecnica pittorica accademica, quasi illusionistica.
Marica Di Giovanni