Negli anni della Golden Age dell’Horror americano, in cui il genere ha partorito una serie di successi commerciali senza precedenti, parallelamente ad una considerevole mole di prodotti indipendenti attraverso cui sperimentare nuove forme, proporre qualcosa che venga concepito come originale in ambito di cinema dell’orrore pare un’impresa assai ardua.
Eppure è a questo che punta il talentuoso e poco prolifico Pascal Laugier al suo ritorno nelle sale con Ghostland  (in Italia La casa delle bambole), film nel quale il regista e sceneggiatore francese cerca di dare forma ad un terrore che scaturisce dalla fusione di due differenti stati della violenza, quello psicologico e quello fisico.

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Partendo da una trama adagiata su basi piuttosto semplici e convenzionali, Laugier tenta di giocare con il genere, rimaneggiandone la struttura narrativa al fine di creare un prodotto ibrido, che volutamente cita e riprende i grandi classici, ma al contempo ne ribalta alcuni stilemi ed esplora vie nuove attraverso cui calare lo spettatore in quel clima di pericolo costante. In questo modo, la storia di due sorelle adolescenti che, assieme alla madre, ereditano dalla zia una casa isolata nella quale vengono poi aggredite e segregate, diventa uno spunto su cui elaborare una riflessione riguardante i traumi passati, le ambizioni personali e i rapporti familiari.
Pregio e difetto dell’esposizione di Laugier è una struttura tendente ad incastrare differenti linee temporali (e narrative), tramite le quali articolare il racconto. Se da un lato l’evidente ricerca dell’originalità è da considerarsi un’intenzione lodevole, dall’altro si è obbligati a fare i conti con la pesantezza che essa comporta nel momento in cui sfocia in una narrazione macchinosa e frammentaria. Nondimeno, Ghostland si rivela ricco di intuizioni in grado di attribuire dei risvolti inediti alle figure ricorrenti del genere. Un esempio in questo senso è rappresentato dall’utilizzo delle bambole che, storicamente, dalle opere di Dario Argento sino a James Wan, sono state assunte a simbolo del male ed alle quali in questo caso viene attribuito un ruolo quasi salvifico, grazie ad una brillante intuizione drammaturgica.

Tuttavia, la vera forza di questo film si cela nell’aspetto visivo, in brutali scene di violenza, ben congegnate a livello registico e sorrette da un comparto sonoro di prim’ordine. Esse sono plasmate affinchè lo spettatore si trovi in una condizione di persistente timore, sia messo in guardia rispetto a quanto sta per accadere e resti comunque sorpreso dalla dirompente azione che giunge a frantumare la tensione. Un film che, nonostante la vocazione all’originalità, non cela le proprie ascendenze, puntualmente esternate attraverso omaggi a capidopera del genere che vanno dall’ambientazione di Non aprite quella porta, alle menomazioni dei mutanti di Le colline hanno gli occhi, passando per un esplicito riferimento al cinema di Rob Zombie (il più classicista dei registi Horror contemporanei).
Per quanto cerchi di battere sentieri inesplorati, La casa delle bambole fatica quindi ad applicare al genere un’impronta innovativa e totalmente efficace nel periodo attuale, finendo, in questo modo, per trovare nel passato gli spunti per le proprie scene migliori, le quali garantiscono la forza propulsiva a quella che resta un’avvincente macchina del brivido.

                                  Andrea Pedrazzi

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