Protagonista di oggi è una raccolta del giovane artista Valeriano Grasso, fotografo operante sul territorio bolognese e insegnante di fotografia. Gli ultimi mesi del 2020 e l’inizio del 2021, per il fotografo di origini siciliane, sono stati abbondanti di idee ed ispirazioni, grazie alle quali è nata una produzione particolarmente ricca. Sotto i riflettori, oggi, è una duplice raccolta: Drappi e Luci e Drappi e Colori. Si tratta di una medaglia costituita da due facce diverse ma complementari, volte a mettere in risalto o a celare agli occhi dell’osservatore.
“La raccolta Drappi nasce a coronamento dell’input di cui ho parlato nella scorsa intervista, quello relativo all’incontro con il regista, come una sorta di punto finale di un’interrogazione interna. Mi sono chiesto se ricordassi quanto l’estetica decadentista e simbolista e le atmosfere molto cupe, quelle in cui però regna la bellezza, abbiano fatto parte della mia “estetica giovanile”. Proprio così, la raccolta è nata interrogandomi a proposito di ciò e utilizzando dei modelli in particolare.”
Filo conduttore, collante di tutta la raccolta sono i drappi, simboli, allo stesso tempo, di sensualità e di riservatezza, di intimità. Il fulcro di entrambe le opere in questione permette di fruire l’opera come una narrazione da catturare tutta d’un fiato.
“Fil rouge della raccolta è sicuramente il drappo, che unisce gli scatti partendo dalle foto in bianco e nero per terminare con quelle a colori, e che rappresenta un elemento ricorrente che è il simbolo, a mio parere, della storia dell’arte in assoluto. Il panneggio, infatti, si ripropone sempre, che si parli di Barocco o di Neoclassico, di natura morta o di arte sacra. Io ho cercato di trattenere questo fil rouge, sempre presente nel mio ideale estetico di creazione artistica, e di inserirlo in modo che si riproponesse costantemente durante la narrazione degli scatti.
Il drappo ha permesso di esaltare l’espressività degli scatti stessi, espressività che definirei celata, perché nella maggior parte delle foto essa si desume dalla composizione e dev’essere, quindi, cercata dal fruitore. Solitamente, capita che l’espressività venga colta attraverso lo sguardo della persona rappresentata, ma in questo caso non è così, perché accade spesso che l’occhio sia chiuso o nascosto: l’espressività, sottesa all’interno dello scatto, giunge così a muoversi nell’estetica complessiva della composizione attraverso le labbra o tramite pose innaturali, e viene esaltata mediante la luce o i colori.”
A celare o mettere in luce agli occhi di chi osserva proprio mediante i drappi sono alcuni soggetti particolarmente espressivi, che sono, allo stesso tempo, simbolo di sensualità e di intimità.
“Le linee del drappo nella loro sensualità, delle volte plastica, altre morbida, vanno a completarsi, come accade per le due modelle principali presenti nella raccolta: una di loro, infatti, ha una “sensualità italiana”, morbida e piena di curve, che ricorda le statue berniniane, se vogliamo cercare un paragone; l’altra, il cui scatto chiude la raccolta a colori, ha invece una sensualità molto più spigolosa e intima, che racconta quella fragilità che si può riscontrare anche nel suo corpo, femmineo, ma spigoloso. E proprio sottolineando questo motivo dell’intimità, è nata la scelta dei modelli, che sono cinque. In particolare, di un modello e due modelle ho cercato di raccontare l’intimità nella loro mutevolezza, soprattutto per quanto riguarda il ragazzo: è stato davvero un piacere collaborare con lui, perché nel tempo che passava tra uno scatto e l’altro si trasformava, diventava un’altra persona. E così si può riuscire a coglierlo in un istante in cui è modella Vogue, con una bellezza androgina, e in un altro in cui sembra un semidio greco, caratterizzato da una bellezza statuaria e da una muscolatura quasi olimpica. Allo stesso modo, negli scatti della modella principale della raccolta a colori ho raccontato la sensualità di una ragazza che di volta in volta diventa una bellezza del Marocco o una moderna Sherazade che racconta le sue storie ammiccando e nascondendone il contenuto, perché in realtà le sta creando, con questi drappi in cui si nasconde e si mostra. Si arriva, infine, all’ultima modella, una ragazza cubana, che attraverso le sue pose sempre diverse, ci porta, alla fine del libro, a uno scatto mozzafiato, proprio per la posa che lei ha utilizzato, che ci conduce nel pieno di un’estetica simbolista e decadentista. È una foto che lascia quasi dell’amaro in bocca, per questo colore quasi verdognolo, per la posa totalmente innaturale. Quindi, l’intimità che ho raccontato qui è proprio quella che, di volta in volta, si è ricreata, anche con l’ausilio della musica che utilizzo durante gli scatti e dei suggerimenti che do nel corso delle conversazioni con i modelli stessi.”

E i modelli scelti sono uniti nella narrazione, con continuità, avvolti e legati gli uni con gli altri.
“Di volta in volta il drappo, nonostante fosse lo stesso (a parte per il caso delle foto alla Sherazade, in cui è presente un ulteriore drappo), diventa soggetto principale, soggetto secondario o sfondo dello scatto e va a completare la composizione della foto stessa, in base all’emozionalità che aveva la persona in quel momento. Accade, quindi, che rappresenti sia il drappo di uno scatto sacro, come quello che ho chiamato Deposizione di San Girolamo, dove sembra quasi di essere davanti a un reliquiario, in cui c’è la salma esanime di un santo, sia il drappo inteso come quei foulard orientali che usano le ballerine di danza del ventre.”
E proprio il drappo, elemento costantemente ricorrente, rappresenta il cuore simbolico della raccolta.
“Come avevo detto nella mia prima intervista, la parola che rappresenta la mia fotografia è “DIVENIRE”. Qui, invece, inizio e fine sono ben determinati e delimitati dalla parola “SIMBOLISMO”, perché è attraverso i simboli, rappresentati mutevolmente dal drappo, che di volta in volta si ripropongono (o si propongono) all’interno di uno scatto, che l’emozionalità che avevo io, in questo periodo molto oscuro, di rapimento estatico, riesce a trasmettersi agli occhi dell’osservatore.”
Chiara Pirani