Regia di Edoardo De Angelis
Salvatore Todaro è un comandante di corvetta al servizio della Regia Marina italiana. È il 1940, e il militare è assegnato al comando del sommergibile Cappellini. Il 16 ottobre dello stesso anno, a largo di Madera, il sommergibile italiano avvista il piroscafo Kabalo, battente bandiera belga, ma probabilmente carico di armamenti inglesi. Una cannonata da parte dei belgi dà inizio allo scontro a fuoco, ma la battaglia è breve e vede trionfare, in brevissimo tempo, il battello italiano. A questo punto Todaro, prima di tutto un marinaio e poi un fascista, decide di farsi carico dei naufraghi belgi e di trainarli al porto neutrale più vicino, in aperto contrasto con le direttive del Comando e andando incontro a possibili attacchi da parte della Marina inglese.
In un secondo momento, la scialuppa si sgretola, condannando a morte certa i sopravvissuti, ma anche in questo caso Todaro, avversato dal suo equipaggio e dal comandante in seconda, decide di ospitare i belgi a bordo del sommergibile, condividendo con essi acqua e viveri per oltre quarantotto ore, e spendendosi in prima persona anche nel momento di maggior tensione per scongiurare un bombardamento inglese. Giunto a destinazione, nella baia di Santa Maria delle Azzorre, alla domanda del comandante del Kabalo sul perché abbia deciso di soccorrerli per ben due volte, Salvatore Todaro risponde sorridendo: «Perché siamo italiani».
Il comandante Todaro è un uomo umile, fermo nel comando, ma di animo gentile. Si definisce prima di tutto un marinaio, non un fascista, e ciò lo spinge a comportarsi umanamente verso il prossimo. Affonda il nemico con tutta la forza bellica a sua disposizione, e mette a ferro e fuoco le sue navi e i suoi aerei, ma poi accorre in suo aiuto quando al nemico, ormai inerme, non rimane che lo schieramento d’appartenenza. Dopo la battaglia in mare non esiste più il nemico, quello che rimane, tolta la maschera, si rivela un essere umano tale e quale a lui, che lotta per la vita (non più per la patria), esattamente come farebbe lui in quella circostanza, e per questo merita il suo aiuto.
La lezione di Salvatore Todaro va oltre il suo tempo e riecheggia fino a noi attraverso il film, forse qualche volta con eccessiva retorica e con un accento veneto (l’interprete principale è Pierfrancesco Favino), non sempre impeccabile a voler essere buoni, macchiettistico a non volerlo essere. De Angelis (regia e sceneggiatura) decide di rendere più esplicita la celebre frase di Todaro: «Gli altri non hanno, come me, duemila anni di civiltà sulle spalle», e ancora più forte, politicamente parlando, visti i tempi che corrono.
Quel: «Perché siamo italiani» non si avverte come un’autocelebrazione patriottica, ma, così pronunciata, quasi a fior di labbra, e con un leggero sorriso sarcastico, come una forte presa di posizione nei confronti di una politica migratoria scellerata, che di umano ha poco più che le vittime. La figura di Todaro, benché macchiettistica nella parlata, si discosta da una rappresentazione meramente patriottica del militare buono (mosca bianca) al servizio del Duce, e si avvicina più a quella di un uomo in mezzo agli altri uomini, di un militare conscio della ricchezza che scaturisce dalla differenza, dal Melting pot culturale, e in questo senso sì, portatore dei valori della Roma antica.
PRIMA PUBBLICAZIONE 30 AGOSTO 2023
Tommaso Quilici

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