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“Full of scorpions is my mind.
Piena di scorpioni è la mia mente.”

Regia: Justin Kurzel
Soggetto: William Shakespeare

“Salve Macbeth, tu che sarai re”. Si tratta forse di uno degli incipit teatrali più noti della storia della drammaturgia. Macbeth stesso è una delle opere più famose e rappresentate a teatro, e vanta numerose intepretazioni anche cinematografiche. E a Welles e Polanski ora va ad aggiungersi anche quella di Kurzel, rivisitazione in chiave moderna e molto distante tecnicamente dalle altre due, con i suoi grandi punti di forza a discapito di piccole falle registiche.

L’atmosfera generale del film richiede una grande attenzione da parte del pubblico, proprio come se ci si trovasse a teatro a vedere la stessa opera di Shakespeare, e Kurzel ci fa addentrare nella scozia dei re in perfetta medias res: la battaglia finale, mai descritta nell’opera se non affidata alle parole del vecchio che la riporta a Re Duncan.
La trama segue linearmente gli avvenimenti dell’opera, senza mai togliere pezzi ma anzi, aggiungendone e affidando al mezzo del cinema l’occasione di integrare ciò che il teatro non riesce. Così le parti narrative diventano battaglie, omicidi, dialoghi in luoghi spettacolari che offrono allo spettatore una nuova visione dell’opera del Bardo.
Non si tratta quindi di un film che va preso alla leggera, lo spettatore è colpito e disorientato. La scelta dell’utilizzo del testo originale dell’opera stride con la recitazione (magistrale e perfettamente in linea con i canoni emotivi moderni) e con lo strumento cinematografico, ma il tutto in modo altamente poetico.
I dialoghi, i monologhi, tra i quali particolare menzione devono avere quello di Lady Macbeth e quelli di Macbeth stesso ovviamente, tutto viene trasportato in un ambiente “verosimile” che dona una sfaccettatura nuova al teatro classico, pur mantenendone il messaggio e lo strumento-testo.
Gli interpreti dei personaggi aiutano molto la pellicola in questo senso. Marion Cotillard è stata in grado di creare una Lady subdola, cattiva e allo stesso tempo mistica che con le sue parole soggioga un Fassbender cinico, debole e allo stesso tempo forte, ma di una forza che solo la cieca follia riesce a spiegare. Si tratta infatti, a detta dello stesso protagonista, di un Macbeth nuovo che soffre di PTD (Post Traumatic Disorder – Disordine Post Traumatico), completamente giustificato dalle scelte registiche di mostrare le sue battaglie come veri e propri massacri brutali e sanguinosi.
La regia fa un sapiente uso dei suoi attori calandoli in scelte stilistiche coraggiose e non scontate.
Ad esempio l’utilizzo costante del rallentatore che si mischia a flash durante le crisi di follia di Macbeth, oppure ancora il colore rosso e la nebbia, presenti dall’inizio alla fine della pellicola, richiami già utilizzati in passato da Polanski (rosso) e da Welles (la nebbia).
Alcune scelte però mi sono parse azzardate, come la presenza di una quarta strega-bambina non presente nell’opera originale o la scelta di spostare alcune scene in luoghi totalmente diversi dall’ambientazione originale.

In conclusione, si è trattato di un film molto forte e ben riuscito che consiglierei a tutti gli amanti del genere e che fa ben sperare nelle produzioni future del regista al quale, ricordiamo, è stato affidato il lungometraggio Assassin’s Creed che uscirà nelle sale nel 2016 e vedrà di nuovo insieme al regista la coppia Fassbender-Cotillard.
Squadra che vince non si cambia?