Negli anni 2010 sequel e reboot sono all’ordine del giorno e si potrebbe discutere a lungo su questo fenomeno ma non lo farò in queste sede.

In questo articolo voglio parlarvi dell’ultimo di questa serie di prodotti ovvero “Blade Runner 2049”, il sequel del film di culto di fantascienza “Blade Runner” diretto da Ridley Scott del 1982, uno dei film di fantascienza più noti e più riusciti di tutti i tempi. In questo articolo ho sacrificato alcuni pensieri e riflessioni per evitare spoiler a chi il film lo deve ancora vedere.

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Il difficile compito di creare un seguito a quest’opera è stato affidato al canadese Denis Villeneuve, autore che si è fatto conoscere al mondo con lavori come “Sicario” del 2015 e “Arrival” del 2016, quest’ultimo un notevole film di fantascienza. La storia è ambientata 30 anni dopo gli avvenimenti del film di Scott. Viene mostrato un pianeta terra sempre più devastato dall’inquinamento e dalle radiazioni ma in qualche modo stabilizzato grazie all’intervento del magnate Neander Wallace (Jared Leto) che, con la sua tecnologia, è riuscito a preservare quel poco che è rimasto dell’ecosistema diventando di fatto una delle persone più influenti sul pianeta. Wallace è anche il responsabile di una nuova serie di replicanti che lui vende come completamente fedeli e assoggettati tanto da riuscire a farli integrare nella società come forza lavoro sulla terra e addirittura come blade runners, cacciatori di replicanti banditi.

Il protagonista della vicenda è K (Ryan Gosling), un replicante blade runner che dando la caccia ai dissidenti della generazione Nexus 8 finisce per scoprire un segreto che rischia di compromettere la sua esistenza e la storia dell’umanità intera, seguiranno indagini, inseguimenti, fughe e sparatorie che poteranno il protagonista a incontrare faccia a faccia Rick Deckard (protagonista del primo capitolo, interpretato da Harrison Ford).

Nel presentare una narrazione fatta di domande e dubbi sulla natura dell’esistenza stessa il film di Villeneuve mantiene una continuità col suo predecessore portandoci nuovamente a riflettere su cosa voglia dire davvero essere vivi e se ci sia una linea di demarcazione tra ciò che è ciò che non lo è. Oltre al tema della dell’ingegneria bio-meccanica già affrontato nel film precedente, questo capitolo contiene riferimenti più espliciti all’intelligenza artificiale intesa come computer intelligente presentandoci il personaggio di Joi (Ana de Armas), la fidanzata virtuale di K, una specie di Samantha olografica anch’essa creata da Wallace e dotata di una propria coscienza e una propria volontà benché concepita unicamente come compagna ideale. Per quanto debolmente scritto e a suo modo incoerente il personaggio è il più vicino al nostro tempo, un tempo in cui alle fiere tecnologiche vengono presentati robot sessuali, “compagni ideali”.

Ogni giorno escono articoli sugli sviluppi dell’intelligenza artificiale e sulle sue possibili conseguenze. Blade Runner 2049 va a inserirsi in questo contesto fatto di inquietudini e incertezze, ma anche di speranze.

Il lato tecnico del film è certamente quello che non passerà inosservato agli occhi di chiunque: scenografie spettacolari, fotografia che alterna nebbie grigiastre, luci al neon e colori saturi che avvolgono tutta le scena, e ancora scene d’azione e coreografie mozzafiato. La musica, assieme ad alcune scelte di sceneggiatura sembra essere la parte dolente del film (infatti ha subito un cambio improvviso di compositore sostituendo il fido collaboratore di Villeneuve, Jóhann Jóhannsson con l’arcinoto Hans Zimmer e il suo rampollo Benjamin Wallfisch), sembra essere scritta in fretta e furia rispettando quelli che sono ormai tratti tipici del compositore e tedesco e (di riflesso) di certa musica da trailer fatta di suoni rumorosi e invadenti, spesso la musica sembra fuori luogo e non necessaria finendo per intaccare negativamente alcune scene.

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“Blade Runner 2049” ha cercato di modernizzare i temi del capolavoro originale e se nel riuscirci a sacrificato un po di credibilità nella messa in scena è da ammirare il fatto che tutti i rimandi al vecchio film (tranne uno) non scadono in una becera operazione di nostalgia come accaduto nel VII capitolo di Star Wars (sempre con Ford) ma diventano pienamente funzionali alla narrazione fornendone a tratti in certo spessore che il racconto sceneggiato ex novo tal volta perde. Non paragonabile a “Blade Runner” per importanza e influenza ma un film degno di essere visto e goduto nei suoi pregi e difetti, come l’umanità dopo tutto.

Marco Andreotti

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