L’arduo lavoro, durato due anni, dei cento artisti per la realizzazione del film va sicuramente premiato.

La pellicola è avvincente e sviscera in modo interessante le ultime settimane dell’artista olandese, Vincent Van Gogh. È ormai noto anche ai non addetti agli studi dell’arte che Van Gogh avesse alcuni problemi mentali, tra cui la depressione. In questa ora e mezza lo spettatore è portato ad entrare nella mente del protagonista, essendo virtualmente partecipe – tramite geniali flashback in bianco e nero – delle vicende che più hanno segnato la sua vita: dall’infanzia, alla vita adulta senza i successi lavorativi richiesti dal padre, alle prove per diventare chi voleva essere, ovvero un artista con cui si potesse empaticamente condividere le proprie emozioni, fino alle follie del taglio dell’orecchio e al suicidio.

Tutto il film viene riproposto con il tratto tipico del genio olandese e, per quanto l’abbia trovato a volte un po’ troppo a scatti, il passaggio delle scene è scorrevole e una meraviglia per gli occhi.

Ho trovato inoltre interessante anche la scelte di riproporre durante le scene del film alcuni fermo-immagine, che riprendono alcune delle più celebri opere di Vincent Van Gogh: la stanza rossa del bar con il tavolo da biliardo a inizio pellicola, la chiesa con il bivio a Auvers, fino alla stanza con il letto in prospettiva.

Mai banale nel trattare la sua vita, si percepisce la dolcezza di un uomo fragile, che scrive al fratello Théo come fosse un’ancora di salvezza, e la solitudine provata durante la sua esistenza, che non l’ha mai fatto sentire parte di qualcosa di concreto.

Per tutto il tempo si ha la sensazione di respirare la vita di Van Gogh, con i tratti dei suoi dipinti come metafora: duri e vivi, essi portano a grandi contrasti, come nelle luci delle stelle sullo sfondo del buio cielo.

Intrigante, melanconico e dolce allo stesso momento: questo è Loving Vincent.

Agnese Monari

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