Vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes 2017, il film rappresenterà la Svezia agli Oscar 2018 concorrendo come miglior film in lingua straniera. Diretto dall’ex regista di video sciistici Ruben Östlund (che già conosciamo per il lungometraggio Forza Maggiore), il film esce nelle sale italiane il 9 novembre distribuito da Teodora Film (stesso distributore indipendente di 120 battiti al minuto, per intenderci). Opera che fa dell’arte contemporanea un punto di partenza per una ben assestata critica alla società di oggi.
“Il quadrato è un santuario di fiducia e amore al cui interno abbiamo tutti gli stessi diritti e doveri”. Perché The Square non è una piazza, bensì un quadrato, l’installazione d’arte contemporanea che il protagonista del film, curatore del museo d’arte moderna e contemporanea di Stoccolma, acquista. Un quadrato luminoso, piazzato a terra, al cui interno non esistono differenze, dentro il cui perimetro tutti godiamo degli stessi diritti e doveri, ovvietà che ci presenta fin da subito il mondo presuntuoso e contraddittorio dell’arte. Ma l’obiettivo del regista è un altro: usando come pretesto il furto di un cellulare e di un portafogli e una malriuscita campagna di marketing, mette a nudo le differenze che attraversano le nostre città, le disuguaglianze tra chi ha troppo e chi ha poco. Derubato in pieno giorno (non a caso al centro di una piazza), Christian, il nostro protagonista, vivrà una serie di vicissitudini che porteranno il caos nella sua rispettabile esistenza. Con graffiante ironia alternata a momenti di contraddittoria ipocrisia di una società individualista che dà più peso all’apparire che all’essere, Ruben Östlund costringe lo spettatore a porsi scomode domande, a prendere atto dell’esistenza di una classe sociale impreparata e conscia delle discrepanze di cui la società è satura. |
In tutti i suoi 142 minuti, The Square non offre allo spettatore nessun tipo di espediente, limitandosi a narrare, a tratteggiare, a portare a galla. Avvia riflessioni che non arrivano mai fino in fondo, facendo del disorientamento l’oggetto proprio del discorso filmico, rendendo il film un’installazione artistica moderna, lasciando a chi lo contempla l’onere di darne un’interpretazione.
Edoardo Testa