Regia: Sydney Sibilia
Torna il nuovo e conclusivo capitolo della trilogia Smetto quando voglio dell’esordiente Sydney Sibilia, che ritrova come protagonisti la banda di ricercatori, capitanati da Pietro Zinni (Edoardo Leo), che, abbandonate le smart drugs (leitmotiv dei primi due capitoli), sono ora impegnati a sventare l’attacco con il gas nervino progettato dal terribile chimico Walter Mercurio (Luigi Lo Cascio).
Pietro, dal carcere di Regina Coeli, cerca di comunicare alla polizia la notizia del terribile attacco progettato da Mercurio, anche se non è in possesso di alcuna prova; dunque riesce a farsi trasferire al carcere di Rebibbia per cercare da Murena (Nerì Marcoré) alcune informazioni riguardante il chimico, sul movente e sui modi in cui è riuscito a fabbricare una sostanza così pericolosa.
Con un sapiente uso di flashback e concatenamenti con gli eventi descritti nei precedenti capitoli, si va a completare così l’affascinante storia di questi amabili ricercatori che, divisi in buoni e cattivi, finiscono per far parte tutti dello stesso disperato mondo.
Walter Mercurio, chimico del dipartimento distaccato di Civitavecchia, è un Pietro a cui l’università ha giocato qualche tiro mancino di troppo, suscitando in lui un desiderio di vendetta talmente forte per la vita e la carriera rubategli che ha investito tutta la sua esistenza prima nella creazione di Sopox (che si scoprirà essere solo un diversivo per finanziare la creazione del gas nervino) e poi con la pianificazione di un’arma chimica di distruzione di massa.
Pietro Zinni, che ha rivestito senza dubbio il ruolo di protagonista nei primi due episodi, qui viene messo da parte per costruire un racconto più corale, che fa risaltare anche gli altri personaggi e in particolare viene reso labile questo confine tra bene e male, dove il cattivo Mercurio alla fine è sempre meno cattivo dell’istituzione universitaria corrotta e insensibile, che per meri interessi economici e politici è disposta a insabbiare casi di malfunzionamenti e di mala gestione di affari pubblici.
Divertente e a tratti commovente, Smetto quando voglio- ad honorem non si conclude in modo tragico e disfattista (nonostante vi siano tutte le premesse per farlo), ma lascia una speranza nei giovani: forse l’istruzione universitaria italiana è un disastro ma, nonostante tutto, c’è sempre la possibilità di reinventarsi e di sopravvivere.
Cristina Bagnasco