Ciao Jessica, ti puoi presentare ai nostri lettori e parlare anche delle tue opere?
Il mio nome è Jessica Ferro e sono un’artista laureata in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Ormai da diversi anni mi occupo di Arti Visive, nello specifico dell’unione di diversi linguaggi espressivi, quali pittura, incisione, grafica d’arte, installazione, scultura, spaziando dalle tecniche più tradizionali alla sperimentazione. L’uso di un segno intenso, espressivo, che spesso diviene traccia incisa, è un aspetto ricorrente e caratteristico dei miei lavori, i quali nascono da uno studio dei soggetti, attraverso l’osservazione del dato naturale, per passare poi da ciò che è visivamente riconoscibile ad una presenza più evocativa e misteriosa.
I mondi dell’entomologia e della malacologia mi affascinano particolarmente e sono diventati, in un certo senso, le mie fonti inesauribili d’ispirazione, necessarie per raccogliere quelle suggestioni che poi si riflettono inevitabilmente sulla poetica delle opere. I protagonisti dei miei lavori sono soprattutto insetti e molluschi, materie organiche e fossili, appartenenti sia alla terra che al mare, che divengono figure allusive e ambigue. La particolarità di questi elementi mi spinge ad indagare con forsennato accanimento ogni soggetto raffigurato e defigurato, inducendolo a mutazione. Lo specifico dettaglio rimanda quindi ad una visione più ampia, dilatata, vibratile, non meno astratta del dettaglio stesso.
Talvolta mi è capitato di parlare di “Rituale“, intendendo il processo di creazione dell’opera d‘arte che si sviluppa in tempi e livelli diversi. Nel mio caso, si tratta di una procedura che parte dal momento dell’ideazione dell’immagine, in cui si rivela fondamentale l’osservazione diretta della realtà, per poi arrivare alla scalfittura del supporto, fino alla preparazione del colore (spesso ottenuto dall’impasto di pigmenti naturali) e alla volontà di trasmettere una pressione fisica, corporea, per ottenere l’opera finita solo alla conclusione di questi passaggi. Si tratta della rivisitazione di una modalità di stampa e dell’utilizzo sovvertito e improprio di questo mezzo, in altre parole riguarda la negazione della produzione in serie di uno stesso soggetto a favore della paradossale possibilità di trasfigurazione e di differenziazione che l’immagine della matrice può subire attraverso diverse impressioni, fino a giungere al punto in cui il riferimento ad essa non è più visivamente riconoscibile.
Essere artista o fare l’artista? Qual è secondo te il ruolo dell’artista nella società odierna?
“Essere artista” è indubbiamente la mia risposta, perchè l’artista non è un lavoro o un impiego, ma è decisamente un modo di essere che non si interrompe quando, di sera, si posanoi i pennelli. Dal mio punto di vista, il fare artistico è molto più di una passione: si tratta infatti di un’urgenza imprescindibile e indispensabile, l’unico modo che l’artista ha di esprimersi… e in questo non sono concesse finzioni. Per quanto riguarda il ruolo dell’artista, credo che rimanga prima di tutto quello di creare e di relazionarsi con ciò che lo circonda, applicando il proprio mezzo espressivo.
Quale consiglio daresti ai giovani artisti, soprattutto studenti dell’accademia che magari non sanno da dove partire e su cosa puntare la propria attenzione?
Per quanto riguarda il mio percorso artistico, l’attività espositiva è cominciata molto presto e col passare del tempo si è notevolmente intensificata, sia in Italia che all’estero. Ho partecipato a diversi concorsi, premi e residenze artistiche, perchè trovo molto stimolante la tipologia di relazioni che generano queste iniziative volte alla promozione dell’arte emergente. Quando, in più occasioni, ho ottenuto il riscontro positivo delle giurie, ho poi inevitabilmente cominciato a prendere molto più sul serio il mio lavoro e la mia ricerca, anche da un punto di vista professionale.
L’unico consiglio in realtà è quello di approfittare di tutte le possibilità di formazione, ma anche di quelle di confronto costruttivo con altri artisti e creativi, senza il timore di assorbire troppo da coloro che si ammira e stima. Conoscere è fondamentale, soprattutto ciò che stimola il proprio interesse, il proprio “tarlo“, poichè è da un fastidio che nasce il fare artistico, e quindi il suggerimento può essere quello di puntare l’attenzione proprio su questo, sfruttando le proprie ossessioni come benzina creativa.
Immaginiamo per un attimo il cervello come una cassettiera: aprendo il cassetto delle mostre visitate, ce n’è una che non dimenticherai mai?
A dire la verità ci sono diverse mostre che ritengo impossibili da dimenticare. Ci sono alcuni luoghi storici a cui torno a far visita ripetutamente, ogni volta che vi sia un’occasione, come a Roma la Cappella Sistina o Galleria Borghese, solo per prendere un paio di esempi, proprio perché le opere che vi sono contenute hanno in un qualche modo influenzato la mia formazione ed il mio approccio all‘arte.
Lo scorso anno sono stata alla Galleria White Cube di Londra. Era in corso una mostra di Anselm Kiefer, un artista contemporaneo che ammiro molto, ma di cui non avevo mai visto dal vivo le opere. È stato emozionante entrare e lentamente venire investiti da un’atmosfera densa di epica ed agghiacciante malinconia. Sala dopo sala, opera dopo opera, tutto induceva un indimenticabile senso di devastazione sia fisica che psicologica, sia riferita a fatti personali dell’artista sia ad una qualche cosa di più universale e che in qualche modo riguardava profondamente ciascun visitatore. Mi sono sentita partecipe all’opera d’arte in un modo che non riesco a descrivere a parole e quest’esperienza non può che avere una posizione di privilegio nella memoria, in riferimento alle mostre che ho avuto il piacere di visitare.
Continuando su questa scia immaginaria, se fossi una collezionista d’arte, quali opere non potrebbero mai mancare nella tua collezione ideale?
Se fossi un collezionista riterrei indispensabili per la mia collezione le opere di Francis Bacon, Claudio Parmigiani, Giuseppe Penone e Jan Fabre. Artisti molto distanti fra loro ma le cui opere, per motivi altrettanto vari, hanno evidenti tangenze con il mio modo d’intendere l’atto creativo.
Cabiriams è soprattutto un blog di cinema: se dovessi guardare un solo film per il resto della tua vita quale sceglieresti? Qual è la tua TOP 5?
Il mio preferito in assoluto è “Dorian Gray”, film tratto dal romanzo “The picture of Dorian Gray” scritto da Oscar Wilde; gli altri componenti della TOP 5 sono: “F come falso” di Orson Welles; “I pilastri della terra”, una mini-serie che personalmente ho sempre affrontato per intero, in un’unica giornata davanti alla tv; “Arancia meccanica”; “Microcosmos – il popolo dell’erba”, un film/documentario pazzesco.
https://www.instagram.com/jessicaferro.arte/
Intervista di Jana Liskova