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Partire da un film biografico riguardante le vicende di una campionessa sportiva per dare vita ad un’opera di tutt’altro genere. Questo è il centratissimo obiettivo del regista Craig Gillespie, il quale porta sullo schermo gli eventi che hanno segnato la carriera della pattinatrice Tonya Harding.

L’infanzia difficile segnata dall’abbandono da parte del padre e dalle pressioni di una madre glaciale ed esigente. Il rapporto perverso con il compagno Jeff Gillooly, sanato a più riprese, ma inevitabilmente terminato con un divorzio. L’ostilità da parte delle istituzioni sportive che non vogliono eleggere una personalità problematica come quella della Harding a simbolo del pattinaggio statunitense. Il tutto per giungere al tragico evento di cronaca che coinvolse l’atleta poco prima dei giochi olimpici invernali del ‘94, quando Tonya venne accusata di aver architettato, con la complicità dall’ormai ex marito, l’aggressione alla rivale Nancy Kerrigan.

Una storia drammatica e sconvolgente, quindi, che però il regista decide di rappresentare con il tono marcato, surreale e pungente della commedia nera. Anche nei momenti più tragici, infatti, si riscontrano degli elementi che subentrano a creare un senso di distacco rispetto a ciò che viene mostrato. L’esempio principale a tal riguardo è costituto dalle innumerevoli sequenze che si concludono con un commento da parte degli attori che, guardando in camera, dialogano direttamente con lo spettatore, interpellandolo e ribadendo la propria versione dei fatti.

Una delle particolarità di “Tonya” è infatti la molteplicità di punti di vista, per cui ogni personaggio tenta di ricostruire a proprio modo gli eventi che compongono il racconto. Il film non punta a delineare una verità assoluta riguardo a quella che è stata la vita agonistica della protagonista: il fine è, piuttosto, quello di narrare il dramma di una giovane donna alla ricerca di qualcuno che la faccia sentire amata, sia esso il marito, la madre, una giuria di pattinaggio o il pubblico di un palazzetto. Il fatto di cronaca viene utilizzato come un semplice espediente narrativo che ha la conseguenza di sottolineare ulteriormente la solitudine della protagonista.

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Ma ciò che veramente sorprende di questo film è la capacità di sintetizzare al proprio interno generi che raramente si sposano con questo tipo di racconto, dando così vita ad una narrazione esplosiva e trascinante. Le esibizioni di Tonya durante le competizioni sono delle vere e proprie sequenze d’azione con movimenti di camera mirabolanti. In altri casi invece il tono viene esasperato al punto da sfociare nel grottesco, come nell’assurda scena in cui viene rappresentato “l’incidente” fulcro della vicenda. Il tutto intelligentemente confezionato in un’opera dalle forti sfumature Thriller, anch’esse sfruttate in modo originale. Lo spettatore sa fin dall’inizio chi sia il colpevole dell’aggressione ed assisterà, perciò, ai tentativi più o meno efficaci da parte dei colpevoli di trovare un modo per celare l’unica verità. Una costruzione inversa che però non manca di efficacia e che regala allo spettatore scene cariche di tensione.

E’ possibile riscontrare tutto ciò anche grazie ad un ottimo cast, nel quale spiccano Sebastian Stan, perfetto e ripugnante nell’impersonare il viscido compagno della Harding, e la spigolosa ed austera Allison Jenney, recentemente premiata con l’Oscar per il suo ruolo da non protagonista. Infine, è più che doveroso dedicare una menzione speciale alla protagonista assoluta di questo film che, seppur supportato da una notevole performance corale, trova nella splendida Margot Robbie la propria anima. L’attrice australiana viene consacrata da un’interpretazione monumentale che conferma ed amplia quanto di buono mostrato fin dal suo esordio hollywoodiano in “The Wolf of Wall Street” di Martin Scorsese e che la proietta tra le stelle più luminose del cinema contemporaneo. C’è una scena particolarmente degna di nota, in cui la travolgente colonna sonora concede una piccola tregua e la protagonista si trova sola davanti ad uno specchio, avvolta in un silenzio totale. Un vuoto che viene riempito dalla miriade di emozioni che l’attrice riesce letteralmente a dipingere sul proprio volto.

Lì, in quel viso, si può trovare la sintesi dell’intero film: fatica, amarezza, rabbia e delusione. Il tutto difficilmente celato dietro al più abbagliante dei sorrisi.

Andrea Pedrazzi

 

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