Negli ultimi giorni è stato distribuito nelle sale italiane un film catalogato come horror ma che, tutto sommato, non definirei in questo modo. Un film che, di primo impatto, mi aveva fatto credere che tutto ciò che di bello avevo potuto pensare prima della visione poteva essere spazzato via ma che, con un dovuto tempo di riflessione, ho potuto in parte rivalutare.
Il film di cui sto parlando è A Quiet Place, scritto, diretto e interpretato da John Krasinski, al suo terzo lavoro di regia.
2020. L’umanità è sotto attacco da alieni, mostri, esseri soprannaturali che sono pronti ad uccidere tutto ciò che produce suono. La famiglia Abbott, composta da Lee (Krasinski), Evelyn (Emily Blunt) e i figli Marcus, Regan e Beau, è sopravvissuta. La vita che conducono è ben diversa da quella che ci si potrebbe aspettare. Non sono fuggitivi, vivono in una fattoria, ben organizzati e pronti a qualsiasi evenienza.
Nulla riporta la situazione all’inizio della vicenda, si parte dall’ 89° giorno dall’invasione, in cui dettagli e effetti sonori faranno conoscere delle particolarità dei membri della famiglia stessa e dell’ambiente circostante. Un’ellissi temporale ci porterà poi al 473esimo giorno, permettendoci di entrare nelle dinamiche della loro quotidianità.
La trama non è semplice, colma di interrogativi a cui spesso non si potrà trovare una risoluzione esaustiva.
Un film come questo pone in sé un senso di coraggio. Un lavoro molto diverso da quelli visti negli ultimi anni. Una riflessione sul senso di sopravvivenza dell’umanità, la stessa che li porta ad abbandonare la parola, a vivere nel silenzio e ad ascoltare, forse più attentamente, ciò che li circonda.
Un film che tecnicamente non presenta pecche, con la fotografia ben composta di Charlotte Bruus Christensen. Un lavoro che porta sul grande schermo delle interpretazioni tutto sommato degne di nota ma che, all’occhio di alcune persone, pone una serie di domande, forse troppe, sulla storia e su una “serie di sfortunati eventi”, che capitano tutti troppo in fretta e tutti allo stesso momento. Insomma, la ruota della fortuna per questa famiglia gira troppo lentamente, o così sembra.
Da spettatrice non ho potuto fare a meno di domandarmi come un’umanità distrutta e allo stremo a più di un anno dall’invasione possa ancora sfruttare energia elettrica con tanto di telecamere. Ho potuto notare una particolare somiglianza nelle interferenze create da mostri, in questo caso, con quelle di Stranger Things, serie tv particolare e di grandissima popolarità negli ultimi tempi.
Un atteggiamento, un modo di narrare una storia interessante e originale, ma una serie di particolarità che possono evidentemente far perdere un po’ di attenzione e stupore in uno spettatore che si trova già in difficoltà dalla parziale mancanza di uno strumento abitudinario come la parola. L’attenzione al suono è ciò che può colpire in maggior modo, in maniera positiva. Tutto ciò, però, può stupire per i primi minuti di visione e, a poco a poco, potrebbe perdersi verso un finale non così tanto spettacolare.
Un lavoro di cui si sta parlando positivamente e che merita la visione. Non aspettatevi un capolavoro ma, considerando anche il ristretto budget, 17 milioni di dollari, rimane comunque degno di attenzione.
Sarah Corsi