Spetta al regista giapponese Shinya Tsukamoto l’onore di chiudere il concorso di questo settantacinquesimo Festival di Venezia. Anche in questo caso, si trattava di un film particolarmente atteso, da parte di un regista di culto capace di attirare al Lido un numero considerevole di seguaci.

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Il suo ultimo film, Zan (Killing), è ambientato nel Giappone del Diciannovesimo secolo, in un contesto in cui, dopo circa 250 anni di pace, i samurai, dopo aver abbandonato i loro padroni, vivono in una condizione di povertà. Mokunoshin Tsuzuki (Sosuke Ikematsu) è uno di essi, e si guadagna da vivere aiutando i contadini in un villaggio nei pressi della città di Edo. La tranquillità viene interrotta con la comparsa del samurai Jirozaemon Sawamurai (interpretato da Shinya Tsukamoto stesso), che invita Mokunoshin ed il suo allievo Ichisuke (Ryusei Maeda) ad unirsi a lui per raggiungere altri combattenti, in vista dell’imminente guerra civile. Nel frattempo, il villaggio vede la comparsa di un gruppo di ronin fuorilegge, che contribuiranno alla rottura degli equilibri.
Zan è un film dalla brevissima durata (ottanta minuti), che fugge, con una velocità disarmante, sotto lo sguardo dello spettatore. La fine giunge ancora prima che si possa avere un’idea precisa di quello che sta succedendo e prima di intuire chiaramente quale sia la direzione intrapresa dal racconto.

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Un film costruito attraverso un crescendo continuo, riguardante sia l’emotività, che permea le scene, sia il ritmo che scandisce il susseguirsi degli eventi che le compongono. Ciò che maggiormente destabilizza è il modo in cui si sia deciso di spostare l’accento della narrazione su una sequenza che, in un altro film, avrebbe rappresentato un episodio di passaggio. Un frammento che altrove sarebbe stato fatto coincidere con il momento in cui il protagonista acquisisce la competenza necessaria al superamento della prova finale, qui viene eletto a scena madre dell’intera opera, in un epilogo che sembra giungere troppo in fretta e senza preavviso. Eppure, superato lo shock iniziale, ci si accorgerà che tutto acquista un suo senso, che Zan altro non è che la storia della nascita di un Killer. Il racconto di un uomo che, forzato dal contesto disastroso di un mondo che crolla attorno a lui, supera i propri limiti per approdare ad un’altra dimensione. A quel punto, ci si renderà conto che il film fornisce tutti gli elementi perché questo percorso venga portato a termine in maniera esaustiva e che questo è ciò che a Tsukamoto preme realmente raccontare. Il resto è un’altra storia.

Andrea Pedrazzi

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