Ospite delle Settantacinquesima edizione della Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, in cui viene oggi premiato con il Leone d’Oro alla carriera, il regista David Cronenberg ha tenuto, nella giornata di ieri, una masterclass aperta al pubblico.
Il celebre regista canadese, riconosciuto ormai come un autore di culto dopo circa cinquant’anni di carriera, è stato protagonista di un dibattito di circa ottanta minuti in cui, rispondendo alle domande dei presenti, ha avuto modo di esternare le sue opinioni riguardo ad alcuni argomenti concernenti sia l’industria cinematografica in generale che le sue personali esperienze all’interno del settore.
Cronenberg è un cineasta che, attraverso un vasto numero di opere visionarie, ha spesso avuto a che fare con il tema dei nuovi media e non di rado ha sfruttato i propri film per diffondere le proprie riflessioni a riguardo. Visioni spesso disturbanti, ma che hanno sempre denotato l’estrema lucidità nel modo in cui il regista si è sempre approcciato alle nuove forme di rappresentazione.
Non sorprende, dunque, che Cronenberg si sia dimostrato molto ben disposto nei confronti delle nuove forme attraverso cui si manifestano le opere cinematografiche, affermando che strumenti come Netflix sono in grado di garantire una maggiore comodità, evitando tutti i problemi logistici che comporta lo spostamento verso la sala cinematografica. Il regista, inoltre, ha espresso il proprio parere nei confronti della serialità, la quale, secondo lui, garantirebbe addirittura delle possibilità maggiori rispetto al cinema dal punto di vista narrativo. Si è detto affascinato dalla possibilità di espansione dei racconti, resa possibile dalla frammentazione delle storie, ed ha lasciato intendere che al momento avrebbe molto più interesse a lavorare ad una serie piuttosto che ad un nuovo film. Ricordiamo che la scrittura ha sempre ricoperto un ruolo importante nella filmografia di questo cineasta, che recentemente ha anche avuto modo di pubblicare il suo primo romanzo. Da qui è possibile spiegare l’estremo fascino che la possibilità di novellizzazione garantita dalla serialità possa esercitare su di lui.
In risposta ad una domanda, Cronenberg ha anche avuto modo di esprimere la sua opinione riguardo il sentimento di nostalgia nei confronti della pellicola di cui molti noti registi si sono fatti portavoce negli ultimi anni. Anche in questo caso, la sua posizione è parsa netta e decisa: Cronenberg non ha mai apprezzato la pellicola. Ha dichiarato di essere sempre stato frustrato dal processo di deterioramento a cui ogni pellicola è soggetta e che viene accentuato dalla produzione di un notevole numero di copie che non reggeranno mai il confronto con il negativo originale. “E’ come se un pittore guardasse un proprio dipinto attraverso una fotografia sbiadita” ha dichiarato il regista, che poi ha rincarato la dose attraverso un parallelismo con un suo film: “Se avete visto Naked Lunch, saprete che io ho una passione per le macchine da scrivere, ma non vedevo l’ora di vederle morire”. Ciò esprime chiaramente la visione di Cronenberg nei confronti dei supporti analogici, i quali conservano un fascino fisico (“l’unica cosa che mi manca della pellicola è l’odore”, ha dichiarato), ma sono destinati all’abbandono, in favore di mezzi più semplici ed efficaci.
In relazione alle nuove tecnologie è stato chiesto al regista cosa ne pensasse della realtà virtuale, la quale ha ricoperto un ruolo rilevante all’interno di questa edizione della Mostra. Su quel versante, la sua reazione è stata più tiepida, ammettendo di essere affascinato dalle possibilità del mezzo, ma di soffrire particolarmente il senso di malessere fisico che esso può generare: ”non si può pretendere di raccontare una storia attraverso un mezzo che non puoi sopportare per più di tre minuti”.
Il regista è stato anche interpellato riguardo il fenomeno del remake, dilagante, specialmente nell’industria americana, negli ultimi anni. Alla domanda in cui gli veniva chiesto se, secondo lui, questo fenomeno potesse essere generato da una carenza di idee all’interno del sistema produttivo, il regista ha risposto in maniera affermativa, specificando, in seguito, che il giudizio può variare a seconda anche dalla qualità del remake. In alcune occasioni, essi possono rivelarsi necessari (“come nel caso del mio film The Fly”, ha poi aggiunto scherzosamente), il problema sorge quando i produttori sfruttano i remake o i reboot, puntando a successi facili a discapito della qualità del prodotto.
Un’altra fase molto interessante dell’incontro è stata quella in cui il regista ha ricordato il modo in cui si è approcciato al mondo del cinema. Cronenberg ha ricordato di quando, da bambino, tutti i sabati pomeriggio si recava in una piccola sala cittadina per vedere i film assieme ai suoi coetanei, per lo più blockbuster di intrattenimento. Fu in una di quelle occasioni che, uscendo da una proiezione di Hopalong Cassidy, notò che da un piccolo cinema che si trovava dal lato opposto della via usciva una grande massa di persone in lacrime. Il film proiettato era La strada di Federico Fellini. Fu attraverso quella straordinaria opera che Cronenberg scoprì che il cinema non fosse solo intrattenimento per bambini, ma potesse essere una vera forma d’arte. Il regista ha poi raccontato come da quel momento dovette trascorrere molto tempo per poter approdare effettivamente all’interno dell’ambiente cinematografico, a causa delle scarse opportunità concesse dal contesto in cui è cresciuto. “E’ facile entrare nel mondo del cinema quando nasci a Los Angeles, in cui i tutti hanno genitori che lavorano all’interno del settore” ha dichiarato, senza risparmiare una frecciatina a Steven Spielberg, citato come esempio di questa semplice scalata.
Come ultimo argomento, il regista di Toronto ha parlato delle sue opere e di come non sia particolarmente legato ad esse dal punto di vista del risultato finale. Secondo Cronenberg, il suo rapporto con i film girati si limita all’esperienza del set. Li considera più come dei “documentari” su come essi siano stati girati, dato che il suo principale ricordo si concentra sull’esperienza avuta durante le riprese, e questo gli impedisce di approcciarsi incondizionatamente alle opere definitive. Questo è il motivo, ha dichiarato, per cui non si trova a proprio agio a parlare dei suoi film, e non riesce a valutarli in maniera oggettiva.
Oggi il regista viene premiato con il Leone D’Oro alla carriera, premio che il direttore del festival, Alberto Barbera ha motivato in questo modo:
“Benché in origine Cronenberg sia stato relegato nei territori marginali del genere horror, sin dai suoi primi film scandalosamente sovversivi il regista ha mostrato di voler condurre i suoi spettatori ben al di là del cinema di exploitation, costruendo film dopo film un edificio originale e personalissimo. Ruotando intorno all’inscindibile relazione di corpo, sesso e morte, il suo universo è popolato di deformità grottesche e allucinanti accoppiamenti, nel cui orrore si riflette la paura per le mutazioni indotte nei corpi dalla scienza e dalla tecnologia, la malattia e il decadimento fisico, il conflitto irrisolto fra lo spirito e la carne. La violenza, la trasgressione sessuale, la confusione di reale e virtuale, il ruolo deformante dell’immagine nella società contemporanea, sono alcuni dei temi ricorrenti, che contribuiscono a fare di lui uno dei cineasti più audaci e stimolanti di sempre, un instancabile innovatore di forme e linguaggi”
Un premio che viene conferito ad uno dei registi più riconoscibili ed originali della storia del cinema. Un cineasta che ha sputo farsi capostipite di un sottogenere (il cosiddetto “body horror”) per trascenderne i limiti e portarlo alla legittimazione. Disturbante ed appagante, violento e commovente, estetizzante ed emotivo, David Cronenberg rientra di diritto nella cerchia di registi per i quali è lecito scomodare il termine di “Autore” della Settima Arte.
Andrea Pedrazzi
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