– Quando smetteremo de racconta sta stronzata delle scale?
– Quando le scale smetteranno de menarce
Sette lunghi giorni di agonia, tensione, paura e dolore. Questo mostra il lungometraggio di Alessio Cremonini, rilasciato sulla piattaforma Netflix e nelle sale italiane il 12 settembre.
“Devastante” e “sublime” sono i parametri utilizzati per spiegare la magnificenza di questa pellicola. Una proiezione che colpisce per la violenza che mostra, limitandosi a narrare gli ultimi giorni di Cucchi. E, sublime per l’interpretazione di Alessandro Borghi, in grado di strapparti letteralmente il cuore.
Il film ha inaugurato la sezione Orizzonti del 75esimo Festival di Venezia, volta a premiare i volti emergenti del mondo del cinema. Sulla mia pelle inizia mostrandoci da subito, senza velature e senza indugi, la morte di Stefano Cucchi, geometra di 31 anni, avvenuta il 22 ottobre del 2009 sotto la custodia cautelare. L’uomo è stato arrestato per possesso di 20 grammi di hashish e di alcune pastiglie. Il film oscilla così, raccontando gli ultimi sette giorni di vita di Cucchi in modo, oserei dire, chiaro, piatto, senza trattenere rabbia o indignazione nei confronti di chi non ha avuto il coraggio di ammettere le proprie colpe. Cosa successe realmente a Cucchi rimane uno dei misteri di cronaca nera ancora oggi in atto. Il 31enne pesava solo 27 chili nell’ora della morte. Agghiacciante.
Durante i processi Cucchi si rifiuta di voler raccontare le cause reali delle sue ferite, riduttivo poi chiamarle ferite: volto completamente tumefatto e corpo massacrato.
Il senso di impotenza viene direttamente inglobato dallo spettatore; quest’ultimo si sente fragile. Tutti potremmo essere Cucchi, tutti siamo Cucchi. Non si osserva questo film solo per il gusto di farlo, si osserva pensando di essere all’interno della vicenda stessa. Ci si sente frustrati come la sorella Ilaria, ingrati come i pubblici ufficiali, pieni di dolore come i genitori. Sette anni di processi, 45 udienze, svariate peripezie, 120 testimoni, e ancora è un caso irrisolto.
Secondo i legali della famiglia, Stefano fu pestato ferocemente prima ancora dell’udienza di convalida dell’arresto. Dopo il ricovero all’ospedale Pertini di Roma, Stefano non fu accudito e nutrito. Venne lasciato a morire di sete e di fame.
Il film non si presta ad essere solo un’accusa contro i vari ufficiali che si “occuparono” di Cucchi, ma non gli si risparmia nulla. Si evita la sua santificazione, non si amplifica, non si giustifica. Un film vero, perché non regala nulla a Stefano, non regala compassione, nulla di tenero o dolce. Questo grazie anche alla famiglia Cucchi, sempre onesta e che da sempre rispetta lo stato e le sue condizioni, ma che dallo stato stesso non è mai stata rispettata in pieno. Hanno sempre riguardato la legge anche a costo di rovinare la memoria del loro caro, morto di e per la galera.
Ultime scene strazianti. Il corpo esanime di Stefano, avvolto da un buio eterno. Tutti conosciamo la storia, tutti conosciamo il finale, eppure tutti speriamo in una fine diversa. Qualcuno che intervenga e che fosse in grado di salvarlo prima di buttar fuori il suo ultimo sospiro. Ma purtroppo no, il film finisce e Stefano muore. Cremonini non ci risparmia nulla.
Sulla mia pelle è il film più discusso del momento, ha strappato sette minuti di applausi a Venezia. Il nome di Cucchi ancora oggi viene citato dai giornali quando si parla di violenza eccessiva da parte delle forze dell’ordine. Così, la FSP Polizia di Stato e il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria si sono scagliati duramente contro la pellicola, cercando di evitarne la produzione e la diffusione. Il regista Cremonini venne accusato di infamia nei confronti delle forze dell’ordine, ma il suo intento è semplicemente quello di raccontare senza giudicare, riportando la verità dei fatti, la cruda verità.
Non vuoi parlare molto con la gente. Hai bisogno di stare da solo. La cosa bella di questo processo di dimagrimento è che ti costringe davvero a fare i conti con te stesso.
E’ così che Alessandro Borghi racconta di essere dimagrito circa 16 chili per rappresentare al meglio il personaggio di Stefano Cucchi. Sembra dura, sembra impossibile appena letta la sceneggiatura, la sua storia, i fatti ignoti. E invece ciò che mostra Borghi non è altro che naturalezza. Denutrito e malmenato, voce strozzata e desideri ignorati. Ha cercato di restituire dignità e verità a Stefano. L’attore fa emergere rabbia, dolore, rancore, risentimento, semplicemente compassione. Compassione per un uomo che non meritava nulla di ciò che ha attraversato, di ciò che la sua pelle ha effettivamente vissuto.
Chi siamo noi, esseri umani, per giudicare? Ma purtroppo è una domanda che emerge soltanto dopo la sua morte, quando ormai non c’è altro da fare, se non richiamare a capo la giustizia. Tutti saremmo stati in grado di voltargli le spalle. E Borghi è stato in grado di diffondere tutto ciò. Non abbiamo visto un attore novellino in grado di saper recitare un copione. Abbiamo visto una persona, abbiamo visto Stefano Cucchi, abbiamo patito la sua sofferenza, tramandata attraverso gli occhi di Borghi. Voce, gesti e movenze impeccabili. Un’interpretazione che prende allo stomaco, incommentabile, da ammirare semplicemente perché si è perfettamente consci di quello che viene mostrato.
Quante volte ancora deve morire Stefano Cucchi prima di rendergli effettivamente giustizia?
Marica Di Giovanni