Lucette Renèe Mathilde Schwob, nota al pubblico come Claude Cahun, fu un’esponente del surrealismo, impegnata sia nella sua arte che politicamente. Nata nel 1894, attiva soprattutto negli anni ’20, chiamarla unicamente fotografa sarebbe come porle addosso un’etichetta poco collante. Perché la macchina fotografica fu solo uno dei pennelli con cui Lucette dipinse la sua identità. Scrisse fin da quando era bambina, facendosi aiutare dalla matrigna nelle illustrazioni, e sviluppò stretti legami con i futuri e principali esponenti del surrealismo francese, tra cui, primo fra tutti, Andrè Breton.
Le fotografie della Cahun rivelano una mente che rifiuta ogni sorta di categorizzazione. Precorritrice delle lotte di genere, Reneè fa dell’ambiguità l’elemento predominante dei suoi scatti e il baluardo della sua battaglia personale. Nelle foto emerge una figura che sceglie di rifugiarsi in un continuo gioco di ruolo, scambio di sessi, per evitare una categoria che addosso le starebbe solo troppo scomoda. Così Claude indossa abiti maschili e femminili, gonne e pantaloni gessati, giacconi e ballerine, passa agevolmente da un sesso all’altro, senza che i suoi tratti somatici ne risentano in alcun modo, anzi: nessuna veste sembra aderirle perfettamente, perché in ogni foto con addosso un completo femminile, ella pare stare troppo stretta, e con uno maschile, troppo larga. Così i vestiti passano in una rassegna di secondo piano, lasciando ampio spazio alla sua identità, definita più dalle espressioni che dalle vesti, più dalle pose che dalle acconciature. I pronomi stessi paiono ad un certo punto superflui per descriverla, non in grado di appartenerle per davvero, così che naturalmente viene da chiedersi: chi è Claude, allora?
«Maschile? Femminile? Ma dipende dai casi. Neutro è il solo genere che mi si addice sempre.» Così risponde alla domanda l’autrice stessa, e questa è anche una chiara giustifica del nome col quale decide di identificarsi.
Claude Cahun è, infatti, già di per sé un nome che rifiuta ogni sorta di categorizzazione sessuale. È neutro, ambiguo, raccoglie al suo interno l’ambivalenza di genere e al contempo la rifiuta drasticamente, per inserirsi in uno spazio tutto suo, nel mezzo tra uomo e donna, al di sopra degli schemi e al di sotto della trasgressione. Claude affronta la sua vita in nome di questa identità, suo personale essere, che grazie alle fotografie ha la possibilità di possedere uno spazio proprio, in cui vivere, esser visto, compreso e diventare scintilla per le generazioni successive di giovani che contemplano l’ambiguità del proprio essere, tentando di inserirla (a volte forzatamente) all’interno di schemi precostituiti, troppo stretti per accoglierla pienamente, troppo perentori per non essere contestati.
L’unico adesivo che può permettersi di aderire alla figura di Claude è quindi il suo nome stesso. Nome che ricorda il più citato Rrose Sèlavy, frutto della mente di Marcel Duchamp e degli scritti sull’inconscio freudiano che avevano ormai preso piede nei primi decenni del ‘900.
Dopo di essi, l’identità della persona viene messa in crisi, non c’è più solo il conscio a definirla, ma anche l’inconscio: il rimosso fa parte ora della nostra identità. Si scopre l’altra faccia della medaglia, la gente è costretta a dover fare i conti non soltanto con quello che appare come dato certo, reale, ma anche, e soprattutto, con quello che non lo appare. L’identità si sdoppia, a volte si sdoppia ancora e così via; viene messa in crisi e, nella crisi, ritrova sé stessa nell’arte (che sia fotografia, pittura, ecc..), amplia i confini, contempla anche ciò che nel conscio aveva rifiutato ed immagazzinato nei remoti meandri dell’Io. Il genere stesso è costretto a rivedersi, ad uscire dagli schemi di maschile e femminile e a reinserirsi nel mezzo di essi come nuovo genere neutro, che comprende sia un sesso che l’altro, ma al contempo nessuno dei due.
Ecco quindi che questa idea si rivela prepotentemente negli scatti della Cahun, anticipatrice di un’ambiguità di genere, capostipite del pensiero gender successivo, bocciolo, all’epoca, in un prato di soli tulipani e rose.
Claude Cahun fuggì nel 1938 sull’isola di Jersey, per evitare l’antisemitismo. Occupata l’isola dai nazisti, Claude e la sua compagna, Marcel Moore, furono incarcerate per un anno con accuse di lesbismo ed accesa pornografia nelle loro foto. L’artista morirà, una decina d’anni dopo la scarcerazione, di embolia polmonare. Marcel, invece, si suicidò nel 1972.
Alla terra ciò che della terra fu, alla Storia chi per farla combattette.
Luca Parentesi