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Macchie, negativi, rumore e natura; arte, omicidio, ingegneria e architettura; un elenco incidentale, costruire abitazioni e discendere agli inferi: questo è La casa di Jack di Lars Von Trier, presentato al festival di Cannes 2018.

Interpretato da Matt Dillon, Jack è un ingegnere con disturbi ossessivo-compulsivi, tormentato dal desiderio di costruirsi una casa e dalla brama per l’omicidio.

Conoscendo la filmografia di Lars Von Trier, ci si potrebbe sentire ormai abituati alle ripetizioni: la macchina a mano e l’alternanza tra immagini traslate e profilmico; la tediante e corrosiva contrapposizione tra vittima e carnefice, tigre e agnellino; scandalizzare nella consuetudine della violenza. È del resto lui stesso a citarsi: una seduta psicanalitica (se psicologo può essere definito Bruno Ganz all’interno del film) era già stata mostrata in Antichrist (2009) e, se in Dogville (2003) ad accompagnare i titoli di coda c’era l’omonima canzone di apertura di Young Americans, nono album di David Bowie, stavolta è la canzone di chiusura, Fame, che si ripete durante il lungometraggio.

C’è tuttavia, in ogni dettaglio del film, il bilanciamento fra coerenza poetica e innovazione d’analisi che poggia le sue basi proprio sulla continuità stilistica. Ciò non si esaurisce nella rappresentazione intrinseca della nevrosi della ripresa o del montaggio, ma assume completezza attribuendo all’unione delle sequenze le caratteristiche del viaggio (mentale e non), e in questo senso non è casuale il riferimento dantesco.

Il tragitto coincide, ma i soggetti e le rispettive coscienze degli avvenimenti divergono, così da rendere differenti le esperienze: Jack attraversa i suoi incidenti, lo spettatore ne viene traghettato all’interno da Von Trier/Caronte. Il risultato è il ritratto atipico di un serial killer più o meno conscio di compiere un percorso verso il baratro; più o meno perché il desiderio di lasciare tracce, sottolineato già dall’infanzia, coincide con l’attrazione per lo stridore di fondo dei dannati, paragonabile al soffiare all’unisono dei contadini. Difatti i sintomi della delusione sono evidenti quando la pioggia lava il sangue lasciato sull’asfalto, e la voce di Bowie intona “Got to get a rain check on pain”.

La casa di Jack è uscito nelle sale dal 28 Febbraio; in Italia sono state distribuite due versioni, quella doppiata con circa 4 minuti di tagli e quella integrale in lingua originale con sottotitoli.

Roberto di Matteo

 

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