Claudia Gori è una fotografa contemporanea, e recentemente il suo nome spicca tra le file grazie alla recente vittoria del Miglior Portfolio, nel Premio Voglino 2018, con il progetto: Le Sentinelle: elettrosensibilità in Italia. Inoltre, la Gori partecipa attivamente alle iniziative del gruppo fotografico Sedici, a Prato.
In questa sede si parlerà del suo progetto, ma farlo necessita di una breve premessa sulle cause e i sintomi caratterizzanti l’elettrosensibilità (EHS).
L’EHS è un insieme di sintomi fisici e psicologici la cui causa sono i campi magnetici, elettrici o elettromagnetici. È una patologia che non è però riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come tale, per via dell’assenza di una dimostrazione dei rapporti di causa ed effetto tra sintomi ed esposizione. Patologia riconosciuta o meno, è rilevante che quello dell’EHS sia un fenomeno notabile di quest’ultima epoca, giacché i sintomi paiono essere in stretta correlazione con la diffusione massiccia di apparecchi elettronici cui la comunità assiste ed attivamente partecipa allo sviluppo di tali apparecchi.
Inoltre, solo qui in Italia, si registrano circa 600 mila casi di malati di EHS, costretti a rifugiarsi, come unica soluzione, dietro le mura delle proprie case, isolandosi dal contesto urbano e dalla società. Circa il 4% della popolazione italiana afferma di soffrire di EHS.
I soggetti degli scatti della Gori si mostrano all’obiettivo con addosso coperte di rame e d’argento, bavagli, scarpe avvolte da cellophane, di fronte a computer sigillati ermeticamente e telefoni cornetta che proteggono dalle onde elettromagnetiche. Ciò che suscita emozione è il ritiro comune dalla società e la scelta di incubarsi nelle proprie dimore, unici luoghi in cui è possibile apportare rimedi self made. L’OMS non riconosce l’elettrosensibilità come malattia e quindi non dispone di cure o viatici per alleviare le particolari condizioni dei malati. D’altro canto, è vero che i numerosi studi dimostrano che, togliendo al malato di EHS la possibilità di vedere, esso non è in grado di riconoscere la presenza di dispositivi elettromagnetici attorno a sé. Questo non significa precipitarsi in soluzioni affrettate e chiamare l’EHS una finzione ed i pazienti dei bugiardi; bisognerebbe però approcciare l’elettrosensibilità su di un campo diverso dalla medicina canonica, ovvero su di un fronte magari più psicosomatico.
Sarebbe, infatti, inverosimile credere che nel corso della storia non si siano già susseguite numerose manifestazioni di disturbi dai tratti psicosomatici, che celano dietro disturbi somatici un’eziologia di natura psicologica. Basterebbe citare il mal d’amore, che poi divenne melanconia amorosa, chiamata infine clorosi, senza prima però esser passata dalla precaria indagine isterica antecedente quella freudiana, che attribuiva alle stesse malate d’isteria una forte inclinazione alla bugia.
La Gori accosta allo scatto di ogni soggetto uno rispettivo di un particolare dell’ambiente da egli costruito per ripararsi dalle onde elettromagnetiche. Per ognuno inserisce poi la breve citazione di una parte di dialogo, che lascia trasparire il contatto, non da medico bensì da amica, che la Gori ha instaurato con i protagonisti delle fotografie.
Sono quindi i malati di EHS annunciatori di una patologia che in futuro dilagherà come la peste o sono essi più simili ai malati immaginari delle commedie teatrali di Molière? Probabilmente è ancora presto per dirlo. Quel che è certo è che per colpa della diffusione massiccia di apparecchi elettronici esistono persone che soffrono, che scelgono volontariamente di isolarsi dalla società, dagli amici, e spesso, molto spesso, dalla famiglia. Delle vite costrette agli estremi della vita, dimore che ricordano un po’ gabbie, e per chi avesse il sospetto che i malati, citando in maniera grottesca Jean Martin Charcot: “soffrano di bugie”, gli scatti della Gori funzionano come allarme, messa in risalto di un sempre più rilevante disagio che, psicologico, somatico, psicosomatico che sia, disagio rimane, e come tale ci si dovrebbe prestare più attenzione.
Luca Parentesi