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Quando guardiamo questi spazi, non riusciamo a dare loro una collocazione ben precisa.

Il primo impatto è quello di un insieme caotico che ci costringe ad osservare più attentamente ogni particolare della stanza.

L’occhio si muove alla ricerca di dettagli, di oggetti per capire a chi e quale tempo appartengono questi luoghi, ma fallisce nel trovare una risposta.
Questi scenari sono in realtà composti da ciò che è stato scartato, ciò che è ai margini delle strade e che invece Anne Hardy decide di raccogliere e far rivivere nuovamente in uno spazio altro, non definito e senza nessun indizio che ci faccia risalire ad una personalità.

La presenza umana è, infatti, completamente assente ed è sostituita dall’aura della luce che ci riporta ad un mondo pittorico, da cui l’artista proviene, dati i suoi studi alla Cheltenham School of Art di Londra.
La luce artificiale bianca costituisce, inoltre, l’elemento unificatore di quest’insieme di scenari realizzati nel suo studio, che pur essendo costruiti appositamente, mantengono comunque la sensazione di una scena che è stata osservata e ha un suo vissuto.

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Le fotografie ci permettono di creare una relazione con questi luoghi “irreali” e affascinanti, rinnovando così il nostro immaginario.
Le opere sono installate in grande formato in modo tale da accompagnare lo sguardo a scrutare ed indagare tutti i particolari, con la sensazione di osservare attraverso una finestra, delimitata dalla cornice dell’inquadratura.

Successivamente il suo lavoro si è scostato dalla bidimensionalità fotografica per arrivare ad una realtà esperienziale, attraverso l’installazione di stanze accuratamente costruite, in cui lo spettatore entra in relazione con uno spazio aperto e soggettivo, ricco di suoni e composizioni visive ancora un volta prelevate dall’esterno.
Anne Hardy crea un’altra realtà attraverso frammenti della realtà stessa, unendo suoni, colori e corpo, l’ambiente esterno con quello interno, creando immaginari lontani da ogni aspettativa
.
L’artista in un’intervista definisce i suoi luoghi come “una realtà parallela – un’altra versione, o potenziale altra versione del mondo di cui facciamo parte ogni giorno. Sono composti di elementi che trovo nelle tasche dello spazio selvaggio che siedono accanto ai nostri spazi quotidiani: suoni, materiali, atmosfere. Li vedo come una sorta di processo di mappatura di queste aree: quelle che considero l’anima della città o del luogo di cui fanno parte, dove si raccolgono tutti i fini, i sentimenti e i pensieri.”

Maria Brogna

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