La recente decisione da parte dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences di insignire Lina Wertmüller con il premio Oscar alla carriera ha generato un corposo dibattito riguardo al merito di tale riconoscimento.
Prima donna ad essere nominata agli Academy Awards nella categoria “Best Director” (con il capolavoro Pasqualino Settebellezze, 1977), si è saputa costruire una carriera variegata e discontinua, che ha visto questa cineasta destreggiarsi in un ampio assortimento di generi e tipologie filmiche. Una versatilità che già di per sé rappresenterebbe un motivo di elogio, ma che amplifica il valore di questa regista nel momento in cui si approda alle sue opere migliori, nelle quali si può riscontrare una sintesi della inconfondibile poetica che la contraddistingue.
La follia dei titoli estenuanti delle sue opere rappresenta solamente l’aspetto più superficiale del timbro anarchico e sguaiato di Wertmüller, vero coacervo di forze trasgressive cinicamente applicate alla realtà sociale del nostro paese.
Tra le realizzazioni avvenute in quello che possiamo tranquillamente definire come il decennio artisticamente più prolifico di questa autrice, in uno spazio non particolarmente prestigioso ma di innegabile valore, troviamo il suo lungometraggio del 1973 Film d’amore ed anarchia – Ovvero “Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…”. Ingiustamente eclissato dalle opere maggiormente note che Wertmuller realizzò negli anni ’70, questo film porta nel nome chilometrico il marchio della sua realizzatrice, così come nella sostanza ne conserva l’indole aggressiva, ironica e irrimediabilmente tragica. Uscito nell’anno successivo all’ottimo riscontro ottenuto con Mimì metallurgico ferito nell’onore, questo gioiello offuscato dal tempo trova nuovamente nei ruoli dei protagonisti la strepitosa coppia formata da Mariangela Melato e Giancarlo Giannini; stavolta non più amanti in clandestinità nell’Italia del boom economico, ma proposti rispettivamente nei panni di una prostituta filoanarchica che nei primi anni ’30 concede rifugio ad un giovane e sparuto militante del nord Italia, incaricato di ammazzare Benito Mussolini.
Dopo uno sfoggio impeccabile della parlata siciliana nel film precedente, Giannini riplasma il proprio linguaggio acquisendo un più che credibile accento lombardo. Depone l’esuberanza e la sicurezza di Carmelo “Mimì” Mardocheo per portare sullo schermo la fragilità di Tunìn, anima docile chiamata a ricoprire il ruolo dell’assassino. La sensibilità del personaggio costituisce il polo magnetico che maggiormente attrae l’empatia dello spettatore, e l’autrice delinea la sua figura spogliandola dei connotati marcatamente autoritari che solitamente viziano i suoi personaggi maschili. Qui il male è un altro, esterno alle segrete vite dei personaggi, il nemico assoluto per loro e per tutti gli uomini liberi.
Il senso di calore con cui la dolce “Salomè” della Melato si prende cura di questo uomo scisso e terrorizzato da un’impresa a cui non può sottrarsi, pervade i frammenti più delicati, autentici ed appaganti del film. In contrapposizione ad essi si staglia l’artificiosa arroganza del camerata Giacinto Spatoletti (Eros Pagani), nemesi perfetta di Tunìn e per esteso dello spettatore stesso, che nei confronti della sua rozza esuberanza non può che nutrire un sentimento di viscerale repulsione. Personaggio la cui superficialità incarna il male assoluto della sterile ed amorale ideologia fascista, mentre lo spazio per i conflitti, i timori e la complessità degli animi viene riservato ai protagonisti.
Wertmüller manipola ed incanala la percezione dello spettatore, sfruttando abilmente i meccanismi del racconto per alimentare il suo disprezzo nei confronti dell’assurdità del nemico, salvo poi gettare nel finale la grottesca maschera della parodia. Il tragico e brutale epilogo rappresenta la perfetta chiusura di un dramma che fino a quel momento aveva dato l’idea di poter vestire dignitosamente gli abiti della commedia, ma ancora di più suona come un monito che anche a 45 anni di distanza riesce a rivelarsi tremendamente attuale. Perché per quanto il male possa presentarsi come ignobilmente puerile e contraddittorio, esso esiste ed agisce in tutta la sua cinica forza devastante.
Andrea Pedrazzi