Nel momento in cui si osserva attentamente un’opera, sorge quasi sempre spontaneo domandarsi chi o cosa ne sia il protagonista. In questo caso, la risposta metterà tutti d’accordo: non è difficile riservare al colore rosso il ruolo di personaggio principale all’interno del dipinto di Henri Matisse dal titolo “La stanza rossa”.
Non appena si mettono gli occhi sulla tela, il colore li rapisce istantaneamente, tanto da far perdere lo sguardo nel rosso, per poi farlo soffermare, solo in un secondo momento, sugli innumerevoli dettagli che pure riempiono il quadro.
Interessante è il fatto che non vi sia una netta distinzione tra il colore delle pareti e quello della tavola imbandita: il rosso è lo stesso e invita ancora una volta l’osservatore a perdersi in esso.
Ad essere raffigurato da Matisse è un interno borghese, una stanza con finestra che dà su un paesaggio dai colori brillanti e vividi. È totalmente assente la profondità spaziale: spiccano una bidimensionalità decorativa e un colore pieno e intenso, ed è proprio quest’ultimo ad annullare la costruzione prospettica, facendo confondere il colore del muro con quello della tovaglia decorata con motivi floreali.
Proprio per la quasi totale assenza di prospettiva, appare evidente come il pittore abbia voluto raffigurare un ambiente non reale, ma interiore, in cui vengono probabilmente accostate due pulsioni contrastanti: da una parte, infatti, troviamo il caos rappresentato dall’interno della stanza, in cui nel “rosso passione” si inseriscono elementi diversi, dalle forme particolari, come a simboleggiare un disordine interiore; dall’altra, spicca ciò che è fuori dalla stanza, il paesaggio che si scorge dalla finestra, che si presenta come idilliaco e quasi irraggiungibile.
Henri-Émile-Benoit Matisse (Le Cateau-Cambrésis, 31 dicembre 1869 – Nizza, 3 novembre 1954), meglio noto semplicemente come Henry Matisse, fu un artista a trecentosessanta gradi: pittore, illustratore, incisore e scultore, si distinse all’interno della corrente dei Fauves, movimento artistico d’avanguardia, composto perlopiù da artisti francesi, che propugnava l’innovazione dell’arte, spinto da influssi romantici e nordici, attraverso la semplificazione delle forme, l’abolizione della prospettiva e, soprattutto, l’uso incisivo del colore puro, solitamente spremuto dal tubetto direttamente sulla tela.
La prima esposizione dell’artista avvenne nel 1904, con scarso successo, ma in seguito egli, facendo tesoro delle lezioni artistiche del pittore André Derain, che lo spinse a enfatizzare ancora di più l’uso del colore, e dell’incontro con Picasso, il quale divenne suo grande amico, ma anche rivale, si affermò sempre di più sulla scena artistica del tempo.
Il declino del movimento dei Fauves dopo il 1906 non intaccò l’ascesa di Matisse, le cui opere più importanti vennero dipinte proprio tra il 1906 e il 1917.
Tra esse, spicca il dipinto in questione, realizzato nel 1908 e custodito attualmente nel Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo. In esso, Matisse dà voce, attraverso il colore, alle emozioni che lo tengono perennemente in bilico tra il caos della realtà, che con la dominanza del colore rosso arriva anche a perdere forma, a confondersi, a rendersi ancora più indefinito, e l’inarrivabile tranquillità rappresentata da un paesaggio incontaminato e a tratti paradisiaco.
Chiara Pirani