
Quando ci si impegna a contestualizzare l’impatto di Stranger Things sulla cultura popolare odierna si evidenzia un meccanismo ben oliato che attiva, con precisione e tempismo millimetrici, un effetto nostalgia semplicemente travolgente. Soffermarsi su personaggi accattivanti, villain orrorifici e trame intriganti può essere utile per comprendere il successo della serie fino a un certo punto: la creatura dei Duffer Brothers è anche e soprattutto un inanellarsi costante e volutamente spudorato di citazioni-allusioni. Se Stranger Things, da un lato, fa leva sui ricordi di una determinata generazione, dall’altro suscita una vera e propria saudade, sfruttando lo strumento dolce-amaro e patinato della malinconia per coinvolgere lo spettatore in un’autentica caccia al tesoro. Di seguito, un elenco dei riferimenti scovati, espliciti e meno immediati, capaci di ricostruire la cultura pop e cinematografica degli anni Ottanta attraverso eccessive e astute strategie.
Day of the Dead, George A. Romero (1985)

Ci troviamo nel 1985 a Hawkins, una cittadina fittizia che per proprie manifeste caratteristiche potrebbe entrare di diritto nella schiera dei luoghi partoriti dalla mente di Stephen King (Castle Rock, Derry, Jerusalem’s Lot e così via), con la differenza che Hawkins non si trova nel New England e, più precisamente, nel famigerato Maine, ma nel Midwestern. Se, come nella migliore tradizione lovecraftiana, King trasforma i luoghi in veri e propri protagonisti – occulti, vivi, corrotti, mostruosi, infetti, contagiosi – Stranger Things non fa eccezione: dai campi di zucche della seconda stagione si passa allo Starcourt Mall, punto nevralgico della terza, un centro commerciale che è luogo ricreativo e, allo stesso tempo, base pulsante dell’intreccio più macabro. In pieno incipit, Mike (Finn Wolfhard), Will (Noah Schnapp), Lucas (Caleb McLaughlin) e Max (Sadie Sink) si intrufolano nel multiplex del centro per abbandonarsi al terzo capitolo della saga dei morti viventi di George A. Romero (Day of the Dead, 1985). Il film viene interrotto da un brusco blackout, scandendo il ritmo della tensione proprio attraverso la colonna sonora originale di John Harrison.
Gremlins, Joe Dante (1984)

Quando Dustin (Gaten Matarazzo) torna in città dopo un mese trascorso presso un campo estivo, si mostra particolarmente entusiasta nel condividere alcune delle sue nuove invenzioni con gli amici e compagni di dis-avventure. Lo slammer, tuttavia, non è completa farina del suo sacco: un martello elettrico pericolosamente simile a quello di Dustin appare in Gremlins (1984) di Joe Dante, come una delle bislacche creazioni di Randall Peltzer (Hoyt Axton). Considerato che un peluche di Gizmo si può intravedere nel caos della fiera durante l’episodio sette (The Bite) e che il film di Dante, seguendo la linea temporale di Stranger Things, è uscito appena un anno prima rispetto agli eventi di questa stagione, c’è da pensare che quello di Dustin sia un tentativo piuttosto “nerd” di ri-creare l’invenzione vista sul grande schermo.
Fast Times at Ridgemont High, Amy Heckerling (1982)

Sviscerando la prima puntata, è difficile considerare una coincidenza la scelta di evidenziare al ralenti la trionfale entrata in piscina di Billy (Dacre Montgomery) tramite l’uso di Moving in Stereo dei Cars. La canzone, non a caso, appare in una scena molto simile in Fast Times at Ridgemont High, pellicola del 1982 diretta da Amy Heckerling. Precursore dei film adolescenziali del cosiddetto Brat Pack di John Hughes, il film è tratto proprio dal debutto letterario di Cameron Crowe e si configura come reportage irriverente della vita di alcuni studenti del liceo. In quel caso, il ralenti serviva a marcare la fantasia sessuale di Brad Hamilton (Judge Reinhold) nei confronti di Linda Barrett (Phoebe Cates) dopo averla vista in bikini. In Stranger Things, Billy, che è impegnato a vestire il ruolo di bagnino presso la piscina pubblica di Hawkins, diventa similmente oggetto delle fantasie delle donne di mezza età che frequentano il luogo in cerca delle sue attenzioni. I rimandi a Fast Times at Ridgemont High non finiscono qui: quando, nella stessa puntata, Dustin parla della sua nuova ragazza, Suzie, la descrive come “più sexy di Phoebe Cates”, mentre la gelateria Scoops Ahoy, con le sue divise a tema marinaresco, diventa un’esplicita imitazione di Captain Hook Fish and Chips, il negozio in cui è impiegato Brad in Fast Times. Neanche a dirlo, Steve (Joe Keery) urterà il cartonato di Phoebe Cates nel finale di stagione, all’interno del negozio di videonoleggio.
La cosa, John Carpenter (1982)

Se la devozione per il film di John Carpenter, a sua volta tratto dal racconto di John W. Campbell, si è palesata più volte nel corso delle tre stagioni (come nel caso del poster lasciato in bella vista nello scantinato di Mike), con la terza stagione i Duffer Brothers omaggiano più di una volta il film-cult e le sue radici. Non solo il Mind Flayer ricorda nelle fattezze da aracnide la creatura di John Carpenter – con la quale il mostro di Stranger Things condivide l’abilità di possedere i corpi e la predilezione per i luoghi freddi – ma, nell’episodio sette, Lucas si abbandona a una considerazione decisamente cinefila. Un confronto tra la classica Coca Cola e la New Coke (una formula diversa che fece il suo ingresso sul mercato proprio nel 1985) si trasforma in un paragone spietato tra il film di Howard Hawks, The Thing from Another World (1951), e la versione di John Carpenter del 1982. “L’originale è un classico, su questo non c’è dubbio, ma il remake è più dolce, più audace, migliore.”
Ritorno al futuro, Robert Zemeckis (1985)

Quando Dustin, Erica (Priah Ferguson), Steve e Robin (Maya Hawke) decidono di nascondersi nel cinema dello Starcourt per sfuggire ai Russi, in un esplicito rinvio alla frenesia paranoica della guerra fredda, il film che si trovano a guardare in sala è proprio il primo influente capitolo della saga di Robert Zemeckis. Robin e Steve, sotto l’effetto delle droghe iniettate sotto tortura dagli infiltrati sovietici, rifletteranno in modo bizzarro anche sul paradosso che suggerisce il titolo della pellicola.
National Lampoon’s Vacation, Harold Ramis (1983)
Nell’ultimo episodio (The Battle of Starcourt), il nome in codice col quale Dustin si riferisce al gruppo di Mike via radio è Griswold Family, protagonista di National Lampoon’s Vacation di Harold Ramis, tra le più celebri commedie degli anni Ottanta e tra i maggiori incassi ai box-office statunitensi.
The Evil Dead, Sam Raimi (1981)

Non solo la locandina “inappropriata” – ricordate la prima stagione? – nella camera di Jonathan (Charlie Heaton), che oggi troviamo proprio accanto al poster di ‘Murmur’ dei R.E.M., ma anche le caratteristiche del Mind Flayer omaggiano notevolmente l’immaginario di Sam Raimi, sia che si parli delle (disgustose) parti che compongono le fattezze del mostro, sia che si discuta dei portali usati dalla creatura per risucchiare Billy nell’oscurità.
Alien³, David Fincher (1992)

Tuttavia, è indubbio che il Mind Flayer tragga ispirazione da un altro essere vieppiù iconico: lo xenomorfo di Alien. È proprio una scena di questa stagione ad ammiccare grottescamente alla saga horror e sci-fi per eccellenza. Quando, nell’episodio sei (E Pluribus Unum), il Mind Flayer costringe Nancy (Natalia Dyer) in un angolo, l’incontro-scontro ricalca il contatto più “intimo” di Alien³, durante il quale l’alieno spalanca la bocca verso un’atterrita Sigourney Weaver.
Die Hard, Terminator e Magnum, P.I.

Se Dustin ed Erica, strisciando nei condotti di aerazione dello Starcourt, restituiscono una goffa imitazione di John McClane (Bruce Willis) in Die Hard, quando Hopper (David Harbour) riesce a puntare la pistola alla testa del sicario russo nell’episodio cinque (The Flayed), il dialogo che ne consegue è pressoché identico a quello che intercorre tra John e un terrorista tedesco nel film di John McTiernan. “Policemen have rules”, è ciò che fa dubitare Grigori (Andrey Ivchencko) circa l’effettiva validità delle minacce di Hopper. A proposito di questo indistruttibile, spietato, quasi “robotico” assassino: ricorda qualcuno? Il Terminator di Arnold Schwarzenegger, ovviamente! Dal canto suo, il buon Hopper ruba consapevolmente il look al Tom Selleck di Magnum, P.I. e pare che qualcuno abbia già provveduto a farne una parodia.

The Neverending Story, Karate Kid, WarGames, Jurassic Park e, ovviamente, Star Wars: si potrebbe proporre al lettore almeno un’altra dozzina di ammiccamenti cinematografici, dall’omaggio al compianto Larry Cohen (The Stuff, 1985) alle analogie con Rabid di Cronenberg. Si potrebbe aggiungere malignamente che per costruire l’universo di Stranger Things i Duffer Brothers abbiano sapientemente saccheggiato le opere di Stephen King: da It a Carrie, passando per la rilettura di Christine di Carpenter (chi se no?) e Stand by Me (il fortunato film di Rob Reiner tratto dal racconto del maestro del brivido). D’altro canto, un cospicuo debito è stato ampiamente pagato anche a Steven Spielberg nelle scorse stagioni, mentre qui diventa più sottile e sornione con la presenza di Larry Kline (Cary Elwes), un sindaco corrotto che assomiglia in tutto e per tutto a Larry Vaughn, il sindaco di Amity Island in Jaws. Nessun demerito: il successo della serie risiede proprio nel farsi calderone di suggestioni, vivendo coerentemente il proprio tempo, che è poi l’epoca dei reboot e dei remake. Cogliere l’easter egg, il riferimento, un’appena percettibile citazione significa tracciare con dedizione filologica la mappa di un intero immaginario, un viaggio negli Anni Ottanta che sa tanto di studiato revival quanto di viscerale tributo.
Buona caccia!
Alessandro Criscitiello