Dopo il primo giorno, che ha visto come ospite il regista francese premio Oscar Jean-Jacques Annaud, la diciassettesima edizione del Ravenna Nightmare Film Fest da il via alle danze con la proiezione de Les Garçons Sauvages (2017).
Primo lungometraggio del regista francese Bertrand Mandico (presentato alla Settimana Internazionale della Critica del Festival di Venezia nel 2017), già autore di diversi cortometraggi, appare come una pellicola aliena agli schemi e lontanissima dalle tendenze della maggior parte dell’industria cinematografica contemporanea indipendente, risultando un film fuori dal tempo.
Forse è proprio questa la caratteristica che più colpisce lo spettatore. Il regista tenta un’impresa coraggiosa: invece che impostare tutto sul minimalismo tipico delle piccole produzioni realizza un film girato in luoghi reali, utilizzando la pellicola 16 mm (che conferisce quell’impatto grossolano e artigianale) e riducendo al minimo gli interventi di post-produzione. Mandico insegue dunque un’idea di cinema quasi naïf, a discapito dei costi e dei sacrifici che tali interventi possono richiedere.
Il film, che si basa sul romanzo fantastico di William S. Burroughs (I ragazzi selvaggi), è un caleidoscopio di suggestioni letterarie e cinematografiche, spesso e volentieri distanti fra loro: Walerian Borowczyk, Jules Verne, Kōji Wakamatsu, Pasolini, Rainer Werner Fassbinder, Jean Genet, L’isola della anime perdute o Il signore delle mosche. Questo miscuglio di citazioni e omaggi va a creare un’opera onirica, quasi un “sogno surrealista”, ma che al tempo stesso si “veste” d’avventura, ripercorrendo un po’ le orme de Il covo dei contrabbandieri (Fritz Lang, 1955) e che inevitabilmente muta in un viaggio nell’impossibile, nel fantastico, nel mostruoso, nell’esotico e nell’erotico.

Il film vede come protagonisti un gruppo di ragazzini rei di una violenza sessuale di gruppo nei confronti della propria insegnante, che vengono assegnati in custodia ad un dittatoriale capitano di nave. Inermi alla rigida disciplina imposta dal capitano, i cinque ragazzi tentano inutilmente un ammutinamento. Approderanno infine su di un’isola misteriosa. Un luogo fantastico che, tuttavia, avrà una strana influenza sui ragazzi, i quali subiranno una mutazione fisica, diventando donne. L’intera pellicola è ricolma di espedienti filmici particolarmente eccentrici e demodé per condurci in un’atmosfera sognante e allucinata, destabilizzando continuamente l’occhio dello spettatore e creando un universo visivo letteralmente onirico e citazionista.
Per Mandico il corpo ha una presenza prettamente «oggettuale». Può essere mutato, inglobando in sé elementi extra-umani. È al tempo stesso materia fisica e forma altamente instabile. Lo stesso discorso vale per oggetti, piante e animali come la vegetazione dell’isola in cui sbarcano i cinque, che è dotata di caratteristiche umanoidi. Questo processo di mutazione continua appare ancora più evidente nel finale in cui i “garçons” si trasformano nella loro controparte femminile e, colpevoli di violenze sessuali, sono ora loro stessi donne alla mercé di altri uomini: il cacciatore diventa così la preda. Ma il continuo mutare rompe anche la parete della finzione e si rispecchia nella scelta del cast, quasi completamente al femminile, dove le attrici si trasformano in ragazzi per poi ritornare donne nella finzione scenica.
Questo perpetuo mutamento è un atto di ribellione, una rivoluzione che serve a distruggere pezzo dopo pezzo i codici del genere di appartenenza, ponendosi come ricreatore di mondi e distruttore di false e ipocrite regole.
Tommaso Amato