Il Nightmare Film Fest 2019 ha aperto il primo novembre l’Ottobre Giapponese con un’anteprima assoluta del film Falò all’alba (2019) del regista nipponico Doi Koichi, presente in sala per presentare la sua opera.
Durante l’inverno, l’attore di teatro Kyogen, Motonari Okura, si trasferisce da Tokyo con il figlio Yasunari, diretto verso la vecchia baita di famiglia in un’isolata zona montuosa nel nord del Giappone per una sessione intensiva di studio dell’antica arte del Kyogen (teatro comico tradizionale). In particolare, la famiglia Okura è famosa per aver mantenuto e tramandato, per oltre 650 anni, la tradizione del Kyogen in Giappone.
Motonari stesso e suo fratello maggiore, da bambini, erano stati condotti dal padre in quella baita per ricevere a loro volta il suo insegnamento, che prevede norme rigidamente spartane per quanto riguarda le faccende domestiche, la cura della persona e in particolar modo i dettami propri delle lezioni di teatro. Il bambino, intimorito dal severo trattamento paterno, è sul punto di cedere, ma la conoscenza della nipote di un vecchio amico di famiglia, Sakiko, porterà delle novità in casa Okura e darà di nuovo speranza al piccolo “Yasu”.

I due protagonisti, Motonari e il figlio Yasunari, sono, anche nella vita reale, discendenti di un’antica famiglia che da 650 anni si tramanda l’arte di comico teatrante nello stile Kyogen. La casa tra le montagne (che il regista racconta essere una vecchia casa abbandonata appositamente rimessa in sesto per il film), diventa metafora di un tempo passato e di uno stile di vita che rischiano di essere dimenticati, e che solo famiglie come la Okura sono in grado di preservare nel frenetico ammodernamento del Giappone contemporaneo. Ed ecco quindi che non solo la casa diventa un luogo in cui il tempo si ferma, ma lo stesso susseguirsi delle generazioni e il tramandarsi lo stesso nome d’arte diventa un modo per rendere immortale l’Essere, per rendere indimenticabile una famiglia e un mestiere che l’accompagna da più di mezzo millennio.
Ma, come riferisce lo stesso regista, il mondo del Kyogen è stato per molto tempo un’arte esclusivamente indirizzata agli uomini. Motanari da questo punto di vista è un innovatore della tradizione, in quanto permette non solo di assistere, ma anche di apprendere il Kyogen a Sakiko. Infatti, neanche la madre e la moglie di Motonari potevano assistere alle lezioni; tuttavia la loro presenza è attestata tramite ricordi/amuleti, nel caso del padre di Motanari il pianoforte di sua moglie e nel caso del piccolo Yasu la campana regalatagli dalla madre, che lo avrebbe protetto.
La campana è un elemento molto importante nel film e ritorna in diverse occasioni: all’inizio, quando viene cantata la filastrocca della nebbia, e nell’amuleto che Yasu suona per darsi coraggio, e che regalerà poi a chi ne ha più bisogno, la giovane Sakiko. In entrambi i casi la campana ha uno scopo di guida della persona, sia per l’anima che per il corpo; infatti nei giorni di nebbia fitta si era soliti suonare delle campane per guidare le persone, e allo stesso modo quell’amuleto serve a dare forza e speranza a chi si è smarrito nella strada della vita.
L’opera di Doi Koichi ci racconta che in un mondo in continuo cambiamento e in continua evoluzione pochi si prestano a portare avanti una tradizione senza la quale il passato andrebbe perso per sempre e con esso un approdo sicuro dell’animo umano.
Tommaso Amato