Giovane artista d’avanguardia, Piet Mondrian (Amersfoort, 7 marzo 1872 – New York, 1º febbraio 1944) quasi non viaggiò fuori dall’Olanda fino agli anni ‘10 del ‘900. Nel maggio del 1911 durante un viaggio a Parigi conobbe per la prima volta l’arte cubista, che vide nuovamente nell’ottobre dello stesso anno alla mostra del Moderne Kunstkring ad Amsterdam. Di certo questo evento lo spinse a soddisfare la sua ambizione a diventare un artista moderno, e nel 1912 si stabilì a Parigi, capitale mondiale dell’arte moderna. Durante questo soggiorno, l’artista ricercò un nuovo linguaggio compositivo cubista, perseguendo costantemente una certa “elevatezza”. 

Fondatore, assieme a Theo van Doesburg, del “neo-plasticismo” (il nome originale è De Stijl, dal nome della rivista De Stijl), anche se spesso imitati e banalizzati, i quadri di Mondrian dimostrano una complessità che smentisce la loro apparente semplicità. I quadri “non rappresentativi” per cui è conosciuto, che consistono in linee perpendicolari e campiture di colore geometriche in colori primari (rosso, giallo, blu) col bianco, il nero o il grigio, sono in effetti il risultato di una continua ricerca di equilibrio e perfezione formale evoluta stilisticamente nel corso di tutta la sua vita. 
Nell’estate del 1919, dopo un breve periodo trascorso nuovamente in Olanda, tornò a Parigi, dove il suo neo-plasticismo avrebbe raggiunto il proprio completo sviluppo. Già da tempo egli stava cercando di ridurre gli elementi visivi nei suoi dipinti alla loro forma più pura: linee perpendicolari e colori primari. Durante gli anni ‘20 fece esperimenti con composizioni contenenti questi elementi per sondarne le potenzialità, cercando di risolvere dilemmi artistici quali l’armonia tra linea e colore e la divisione del colore stesso.           

Negli anni che seguirono il 1920, riuscì a limitare progressivamente la gamma e le sfumature dei colori primari con cui stava ancora lavorando della sua prima fase parigina; inoltre iniziò ad aumentare le distanze tra le varie aree di colore usando zone prive di tinte in modo da separarle. In effetti, mentre nei suoi primi dipinti parigini le linee si notavano a malapena, ora cominciano ad apparire  linee più spesse, di un nero intenso, che iniziano ad avere lo stesso peso delle zone di colore.         
Nel dipinto Composizione con rosso, giallo e blu (1927), Mondrian sembra rifarsi al genere della “composizione periferica”, in cui un quadrato, dal colore neutro (bianco o grigio di diverse gradazioni), ricopriva buona parte della superficie dell’opera. Qui l’ampio quadrato privo di colore è controbilanciato dalla zona rossa nell’angolo in alto a sinistra. La presenza del rosso appare fin da subito predominante, mentre il giallo e il blu sono stati relegati ai bordi, tant’è che l’area gialla ha quasi la stessa larghezza delle linee nere.

In seguito, Mondrian avrebbe reso la divisione tra linea e colore meno rigida, dipingendo linee colorate nelle zone nere. Benché qui il colore sia posizionato in modo tale da dividere equamente la superficie, in realtà ne occupa una porzione piuttosto piccola. Le aree non colorate coprono uno spazio almeno ugualmente ampio e altrettanto importante: hanno un effetto stabilizzante.   
Diversamente dai lavori della fine degli anni ‘20, queste aree non sono uniformemente bianche, bensì dipinte in sfumature di grigio chiaro. Tuttavia, l’opera segna un’innovazione per quanto riguarda l’uso delle linee: infatti, queste non si fermano più dentro la superficie dell’immagine, ma corrono fino al margine della tela. Sebbene Mondrian tra il 1925 e il 1927 abbia eseguito perlopiù dipinti quadrati (anche disposti a forma di rombo), nel 1927 fece esperimenti con formati rettangolari.    

Il neo-impressionismo creò un clima da cui si svilupparono diversi altri movimenti caratterizzati da un maggiore interesse per la linea e per il colore, e che finirono per attribuire loro un valore autonomo. In particolare Mondrian portò tali aspetti formali al massimo dell’astrazione, creando con poco, con linee e colori, opere in grado di trasmetterci un’armonia il più possibile simile alla realtà.

Tommaso Amato

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