La minaccia del rosso intenso, passando dal giallo attenuato al più rassicurante blu, transitando per la neutralità del grigio che porta infine al bianco asettico adibito allo studio dell’organismo extraterrestre che ha ucciso l’intera popolazione di Piedmont, Nuovo Messico. Questo è Wildfire, il laboratorio sotterraneo a cinque livelli nascosto sotto una camuffata e insospettabile fattoria in Nevada. Ogni livello è contrassegnato da un colore corrispondente allo stadio di contaminazione degli ambienti e di chi li attraversa.

È qui che il governo statunitense ha convocato i massimi esperti di medicina e biologia Jeremy Stone, Ruth Leavitt, Charles Dutton, insieme all’Uomo Spaiato, il chirurgo Mark Hall, per risolvere un enigma top secret. Qual è la natura di questo agente patogeno alieno che fa coagulare all’istante i sei litri di sangue dell’intero sistema vascolare? Cos’hanno in comune i due unici sopravvissuti, un neonato e un eccentrico anziano ulceroso?
Il regista Robert Wise, in seguito all’aver affrontato tutti i generi cinematografici, torna alla fantascienza dopo vent’anni da Ultimatum alla Terra ispirandosi all’omonimo romanzo di Michael Crichton. Indossando questa volta il camice da laboratorio e imitando lo sguardo oggettivo dello scienziato crea il capostipite del tecno-thriller medico procedurale, considerato dall’Infectious Diseases Society of America “il film più significativo e scientificamente accurato” sull’infettivologia.

A ogni passaggio di livello, assicurato da sigilli ermetici, l’equipe scientifica è sottoposta a procedure di disinfezione per permettere di analizzare gli agenti patogeni in sicurezza, prevenendo reciproche contaminazioni. Sottoposti all’indagine di braccia robotiche ad alta precisione, scanner ispettivi luminescenti e termografie sfolgoranti, i protagonisti sono man mano privati dell’equilibrio che regola l’ecosistema complesso dell’organismo: la presenza dei microorganismi è minimizzata con radiazioni fulgenti, strinature epiteliali, immersioni germicide e infine persino supposte che riducono le colonie batteriche intestinali. L’impresa è esercitare il controllo anche a livello microscopico su “una delle cose più sporche in tutto l’universo“: il corpo umano.

Il Panavision anamorfico abbraccia l’ampiezza degli scenari monocromatici di un labirinto retrofuturistico contemporaneo a quello immaginato da George Lucas per L’uomo che fuggì dal futuro (1971). Al suo interno imperiose scritte di interdizione disciplinano un mondo del sottosuolo dove tutto è affidato ciecamente a calcolatori refrattari alle “risposte incodificabili”, ai “dati non programmati” e all’imprevisto umano che minaccia la catastrofe. Qui tutto è”completamente automatico, computerizzato e autoregolato“. Anche l’interazione è inaridita dall’obbligo di interfacciarsi con sintetizzatori vocali, touchscreen ante litteram e monitor circolari dai colori cangianti che restituiscono i dati raccolti attraverso la composizione grafica di cifre numeriche.

James Shourt, Albert Whitlock e Douglas Trumbull (già responsabile dei pionieristici effetti speciali di 2001: odissea nello spazio di Kubrick) hanno reso Andromeda uno dei primi film a servirsi di effetti visivi avanzati realizzati digitalmente, tra cui le simulazioni delle immagini viste al microscopio elettronico e le mappe tridimensionali interattive. Risente maggiormente del tempo che passa l’elaborato intarsio di split screen che moltiplica i punti di vista sull’indagine scientifica.

Il minimalismo monocromatico contrasta con l’accumulo di congegni che, nel contesto della competizione tecnologica della guerra fredda, riporta nello stesso insieme visivo apparecchiature militari di difesa, strumenti d’indagine scientifica della realtà e dispositivi di comunicazione: termocamere, radar, interfoni, quadri strumenti, monitor di controllo, strumenti di videosorveglianza, spie d’emergenza, binocoli infrarossi, analizzatori di impronte digitali e rendering virtuali si stagliano a tutto schermo nella loro imperturbabile asetticità.
La costante presenza della tecnologia invade anche il paesaggio sonoro con un effetto ipnotico che rafforza lo stile procedurale del racconto. Gil Mellé riesce a creare la perfetta colonna sonora di fantascienza facendo propria la lezione delle sperimentazioni di musica concreta, elettronica e psichedelica del decennio precedente. Gli effetti del sintetizzatore che sembrano provenire dallo spazio profondo si intrecciano a una sinfonia di interferenze radio, allarmi cinguettanti, serrature che scattano, comunicazioni top secret, aperture pneumatiche sibilanti e vibrazioni di irradiazioni sterilizzanti.

Alla base del laboratorio, sotto l’ultimo livello, una bomba atomica è pronta alla detonazione in caso di disastro biologico come sacrificio necessario alla prevenzione della proliferazione del pericolo invisibile. L’impedimento dello scoppio è in mano all’Uomo Spaiato, un individuo solo posto ai vertici di una catena di comando che, come in A prova di errore di Lumet, ha tra le mani il destino dell’umanità.
Le potenzialità del progresso tecnico-scientifico rivelano così le proprie ambigue implicazioni morali: potrà la meraviglia della scienza salvare l’uomo proprio quando i suoi stessi strumenti, piegati alle dinamiche del potere, sono in grado di distruggerlo?
Giulia Silano