DOCUMENTARIO

Regia di Bruno Pavić, 2020.

I bagnanti sembrano non accorgersi della fabbrica abbandonata che incombe minacciosa a un centinaio di metri dalla spiaggia. O forse hanno imparato a rimuoverla dal paesaggio, ci hanno messo una tenda davanti per poter continuare a godersi il sole senza preoccuparsi. Potrebbero anche essere degli alieni venuti da un altro pianeta che non sanno nulla di cosa sia una fabbrica e di quanto l’aria e l’acqua circostanti siano velenose.

Se Nulti Krajolik (Landscape Zero) fosse un film post-apocalittico, o un remake di Chernobyl, lo si potrebbe anche guardare con leggerezza. Ma l’apocalisse è ancora in atto, le persone che stanno facendo il bagno sono di questo mondo, di questo tempo. E muoiono come mosche, collezionano radiografie annerite come figurine di calcio, preparano cibo “bio” a pochi metri dalle macerie, hanno lo sguardo perso di chi sembra chiedere “cosa dovremmo fare, secondo voi?”.

Non c’è bisogno di dati e di statistiche per capire di cosa stiamo parlando. La forza delle immagini di Nulti Krajolik chiude immediatamente la bocca dello stomaco, aumenta la secchezza delle fauci e stringe un nodo alla gola. Eh già, nemmeno lo spettatore è immune dagli effetti collaterali di quel progresso scorsoio (come diceva Zanzotto) che prima regala le briciole e poi prende baracca e burattini e se ne va impunemente, con tanti saluti a chi resta.

Il sobborgo di Spalato scandagliato da Bruno Pavić è il triste monumento che celebra la fine di un’epoca e la promessa di infiniti problemi per i prossimi anni: una landa desolata in cui nevica plastica, circolano capre radioattive e dei druidi senza più rituali di fertilità da celebrare vagano come fantasmi.

Questo documentario è visivamente stupendo e con una colonna sonora minimalista che si incastra perfettamente con i suoni del luogo… consigliato? Dipende. 

Non è facile superare la sensazione di profondo disagio che si prova in alcuni momenti di fronte alle persone che con noncuranza fanno il bagno o si abbronzano in mezzo ai miasmi e all’eternit; ed è ancor più difficile accettare che tutto ciò avvenga nel silenzio della politica e delle istituzioni. 

Il titolo può essere interpretato come il paesaggio di un disastro industriale. Ma il significato del titolo va oltre l’ecologia; può anche essere usato per interpretare il contesto antropologico della relazione tra esseri umani, natura e cultura, industria e attivismo ambientale.” (B. Pavić) 

Marco Lera

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