Guardare fuori significa spesso cercare di evadere, vuol dire cercare ad ogni costo una libertà di cui ci si sente privati, significa tentare di allargare i propri orizzonti o semplicemente di fuggire con la mente. Ma guardare fuori, a volte, equivale a guardarsi dentro.
La finestra, sicuramente un elemento ricorrente in tantissimi dipinti frutto dell’estro di numerosi artisti di varie epoche e correnti, assume in questo caso un valore diverso, veste un ruolo inconsueto, ma carico di significato. Se ciò che viene suscitato da questo dipinto potesse essere riassunto in una parola, questa sarebbe “attesa”, un’attesa angosciante e difficile da sostenere, che si prospetta come interminabile, forse eterna.

Ragazza alla finestra”, l’opera di Edvard Munch datata 1893 e attualmente conservata presso l’Art Institute di Chicago, si configura come una perfetta rappresentazione di questo senso di attesa vissuta in maniera introspettiva: se si osserva attentamente il dipinto, infatti, si può notare come, a livello di rappresentazione dell’ambiente circostante, l’interno dell’abitazione in cui si trova la ragazza occupi gran parte dello spazio, e come non sia permesso all’osservatore di guardare cosa ci sia oltre la finestra, ma solo di percepirne la luce. L’ambiente esterno diventa marginale, e questa scelta a livello operativo può essere paragonata alla volontà, sul piano concettuale, di dare maggiore rilievo all’“ambiente interno” della ragazza, piuttosto che a ciò che le accade intorno.

A colpire l’osservatore sono, poi, certamente le pennellate vibranti e la scelta dei colori: predominano il marrone e il blu, contrastati dal bianco della camicia indossata dalla fanciulla e dalla luce della luna, anch’essa bianca, che filtra nella stanza attraverso il blu. Sembra ricorrere di nuovo l’aspetto introspettivo: l’ambiente esterno viene “proiettato” sulla protagonista del dipinto, come se ciò che sta attendendo sia dentro di lei. È lei l’unico elemento di luce nella cupezza del quadro, è lei a segnare il confine tra le dimensioni. Come ad avvalorare il concetto, importante è anche la direzione dello sguardo della ragazza: non è proiettato verso l’esterno, verso ciò che si trova oltre la finestra, bensì è rivolto a terra. Ancora una volta, sembra che la protagonista stia riflettendo, stia cercando delle risposte dentro di sé.

Edvard Munch (Løten, 12 dicembre 1863 – Oslo, 23 gennaio 1944), pittore norvegese tra i massimi esponenti della corrente espressionista, si avvicinò all’arte quando, dopo una serie di disgrazie familiari, trovò in essa una sorta di rifugio, di distrazione, nonostante l’ambiente in cui rimase fosse piuttosto malinconico e a tratti macabro. Ad influenzare il suo modo di rappresentare fu, probabilmente, anche la formazione scelta per Edvard dal padre, che lo avviò alla dimensione horror-psicologica dello scrittore statunitense Edgar Allan Poe, e in generale la sua arte risultò spesso pervasa da una vena malinconica e quasi struggente.

Anche in questo caso, non si può non notare la malinconia che inevitabilmente traspare dal dipinto: la ragazza, in preda all’inquietudine, sembra volersi aggrappare alla realtà, e lo fa stringendo i lembi della tenda che copre a stento la finestra, il mezzo di comunicazione con l’ambiente esterno. Accade quindi che, diversamente dalla maggior parte dei dipinti, in cui il personaggio presente nel quadro fa da tramite per far interagire visivamente l’osservatore con l’ambiente esterno che si trova oltre la finestra, in questo caso l’intento dell’artista sia quello di permettere a chi osserva di immedesimarsi nel personaggio, di vivere e di percepire la sua inquietudine e il suo fortissimo senso di solitudine.

Chiara Pirani

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