“Gli uomini faticano ad accettare che una donna sappia di calcio e che magari riesca anche a esprimersi meglio di loro” (Regina Baresi)

Quando si parla di calcio, ci si riferisce, in genere, alla Serie A, agli stadi pieni, agli 11 in campo idoli dei tifosi che ogni weekend affrontano una sfida diversa, in un mistico viaggio verso la vittoria e la gloria. Ciò che si evita di raccontare, però, è l’esistenza di un universo diverso dalla Serie A maschile: il calcio femminile.

La storia delle ragazze calciatrici ha inizio negli anni della Prima guerra mondiale, quando gli uomini erano impegnati sui fronti di combattimento e le donne, nei turni di riposo delle fabbriche, si incontravano nelle campagne inglesi per giocare a calcio. Da allora, la figura della donna calciatrice è stata infangata, etichettata come contro natura, insultata e disonorata; ma i tempi cambiano, e il calcio femminile ha ottenuto la sua rivincita.

Ad oggi, il Campionato di Serie A femminile conta dieci squadre tra le più forti d’Italia, un numero da non sottovalutare. A proposito di questo tema, sono stati realizzati diversi film: tra questi, ce n’è uno particolarmente e piacevolmente sorprendente, ed è “Regine del campo (Une belle équipe)” (regia di Mohamed Hamidi), uscito nelle sale italiane nel maggio 2021. Le pellicole di Hamidi sono conosciute per essere un po’ “paradossali”, ossia inserite in un contesto inverosimile, che sfocia nella stranezza, e “Regine del Campo” non è diverso dalle altre produzioni.

Infatti, il regista crea questo film ignorando completamente alcuni meccanismi del calcio, restando tuttavia fedele ai caratteri generali di questo sport. In un piccolo villaggio francese, Courrieres, c’è una squadra di calcio molto forte e temuta, che mette in crisi le difese avversarie. I ragazzi hanno l’obiettivo di raggiungere le serie che contano, ma il loro sogno verrà minato da una maxi rissa generatasi nell’ultima partita, che causerà la sospensione di tutta la squadra. Cosa si fa in questi casi? L’allenatore banale prenderebbe in considerazione l’idea di mollare e chiudere in malo modo il campionato, ma non Marco. Ex giocatore, conosce le dinamiche di questo sport e sceglie di rischiare tutto, facendo giocare le donne. Questa decisione spiazza tutti, crea scompiglio nelle famiglie, ma genera un entusiasmo pazzesco nelle ragazze, che non si tirano indietro e scendono in campo.

L’intento del film è dimostrare che non esistono sport “maschili” e sport “femminili”, ma che ci sono passioni che non possono essere ridotte a elementi di carattere genetico-biologico. Ed è bello constatare che, dall’uscita di questo film (2019), sono cambiate molte cose: le donne calciatrici godono finalmente della stessa considerazione degli uomini, non si fanno più differenze, il pubblico si sta appassionando. Da ragazza e tifosa, notare questi progressi è quasi commovente: finalmente si va verso un mondo nuovo, che non è più solo blu o solo rosa: è neutro.

La bellezza di questa pellicola sta nel guardarla con gli occhi di una tifosa, che aspetta il weekend per vedere la sua squadra del cuore, e trovarsi a tifare, gioire, e soffrire con le ragazze protagoniste. Sentirsi parte del film e appassionarsi alle vicende di cui ci parla è un risultato che, per tutti coloro che ci lavorano, vale quanto un Oscar.

Giulia Galante

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