Un racconto nel racconto, una compenetrazione di stili e di personalità, che affiorano nelle rispettive creazioni e danno valore aggiunto alle opere stesse.
Protagonista di oggi è un’intervista doppia che unisce e, allo stesso tempo, preserva l’essenza di due artisti capaci di dare vita propria alle loro opere: da una parte Emiliano Alfonsi, artista in originale equilibrio tra tradizione e modernità e iconografo, dall’altra Valeriano Grasso, fotografo dal tocco elegante e profondo e insegnante di fotografia.
Dopo le interviste a Grasso per alcune delle sue appassionanti interpretazioni fotografiche, conosciamo più da vicino Alfonsi: la prima cosa che affiora è il suo lavorare sul simbolo, creando associazioni anche inaspettate.
“La prima parola che lego al mio fare arte è radice, in tutte le sfaccettature che il termine può avere, principalmente legata al fatto di voler scavare nella terra, nel profondo”, dice l’artista.
Questo si riflette molto anche nel contatto con la materia e i materiali di produzione: l’artista, infatti, plasma l’opera dalla “radice”.

“La scelta di trattare la materia da solo viene dal fatto che le mie opere spesso nascono prima sotto l’aspetto compositivo e poi con la scelta del soggetto, che fa parte dell’opera, ma rappresenta un pretesto per poter raccontare altro. La simbologia, il compositivo e le geometrie sono più importanti della figura ritratta, che non corrisponde quasi mai alla persona che effettivamente si vede. Parto da un’ispirazione, dal desiderio di voler raccontare qualcosa e da lì nasce tutto il meccanismo di costruzione dell’opera, e il volto, maschile o femminile che sia, lo scelgo per i colori, per le linee, per una serie di connotazioni che fanno parte del soggetto. È un po’ una chiave d’accesso per raccontare qualcos’altro.
Può succedere anche che io parta con un’idea ma che, quando vado a modellare il legno, abbia dei ripensamenti: da qui l’esigenza di intagliare e costruire le tavole nelle loro geometrie, perché la mia opera parte da lì e non potrei applicarla a nessun altro supporto”.

Curare la “radice” in modo così attento permette all’artista di stabilire un legame con chi osserva le sue creazioni, e proprio a chi guarda è affidata la crescita dell’opera, la sua “lettura“, che muta a seconda dell’interpretazione di ciascuno, mediata dall’emotività.
“Tendo a non aspirare al sentimento degli altri: il mio modo di produrre opere non ha l’esigenza di travolgere i sentimenti di qualcuno. Tendo invece al racconto, mi piace l’idea di offrire allo spettatore un libro e non un dipinto. Dalla lettura di questo “libro”, poi, ogni persona può ricavare un proprio sentimento”.
Proprio dal 19 luglio al 18 agosto si svolgerà una personale delle opere di Alfonsi al Museo d’Arte Contemporanea di Palermo, da qui il progetto condiviso con Grasso, facendo in modo che la fotografia possa raccontare l’artista che racconta le sue opere.
“La ragione tecnica per cui ho scelto di farmi ritrarre”, dice Alfonsi, “sta nel fatto che la curatela mi ha chiesto di realizzare un video di fotografie in cui io potessi raccontare tutto ciò che c’è oltre la mia opera finita, e questo video dovrà essere proiettato all’interno del museo durante l’esposizione. Conosco il lavoro di Valeriano già da diversi anni, non ho mai avuto modo di collaborare con lui ma l’ho sempre seguito. Lui è un ricamatore di luce, la utilizza in maniera molto raffinata e la modella, la plasma, la dirige. Mi ha particolarmente colpito per il modo in cui lo fa, per il suo stile, il suo gusto, la sua raffinatezza. E non mi sono sbagliato, Valeriano è riuscito ad entrare in dialogo con le mie esigenze e ha realizzato dei ritratti, di me e di cose, dando a ogni elemento un senso profondo. Questi suoi scatti mi accompagneranno alla mostra a Palermo e mi seguiranno per tutte le altre tappe museali siciliane e non solo”.

“Sono diversi anni che io ed Emiliano siamo in contatto”, aggiunge Grasso, “apprezzo molto la sua arte, le parole che utilizza, il modo in cui le racconta, quindi il mio obiettivo principale era quello di mostrare agli altri con che occhi io ho visto lui e la produzione che sta facendo. Questo elemento di luce ricamata deriva proprio dall’osservazione del lunghissimo processo creativo che accompagna la sua produzione, c’è una sorta di musica poetica in tutto il movimento che lui fa, da quando prende il legno e lo leviga, a quando ci passa su l’intonaco bianco e poi il colore. La mia volontà è stata quella di dare una sorta di dignità artistica anche a una semplice polvere colorata, cercando di far vedere agli altri, attraverso i miei occhi, quell’incanto, sia attraverso i dettagli, sia catturando Emiliano, che da artista creatore è arrivato ad essere qualcosa di creato nelle mie fotografie. Aggiungo che per realizzare ciò che è venuto fuori ci siamo chiusi in casa da sconosciuti, e questo ha reso ancora più interessante ciò che ne è derivato.”
E in questa compenetrazione di stili e di generi si riflette una profonda stima reciproca, tanto da permettere a ciascuno di loro di creare una sorta di legame con più opere dell’altro.
“Tra i lavori recenti, mi ha particolarmente colpito, per l’utilizzo del colore e per il fascino evocativo, il ritratto di una donna in bianco con i capelli bianchi (“Bianca” Ndr)”, dice Grasso, e aggiunge: “Tra quelli precedenti, poi, mi ha colpito, sia a livello estetico, sia per la simbologia che c’è dietro, l’opera dal titolo Humus Amatorius“.

“Questo lavoro nasce qualche anno fa”, precisa Alfonsi, “quando mi chiesero di partecipare a una collettiva d’arte contemporanea a Genova dal titolo “eroticamente“: la curatrice aveva raccolto negli anni una serie di artisti contemporanei che potessero tradurre la loro arte in pentimento nei confronti dell’eros. Io le dissi che gli argomenti-chiave legati all’eros, quindi la sessualità, la pornografia, erano lontani da ciò che in quel momento stavo facendo. Ma lei mi redarguì subito, perché il riferimento del titolo riportava a una mente erotica, quindi mi ha lasciato massima libertà sull’interpretazione. E tornando alla parola iniziale “radici“, ho pensato di parlare proprio delle radici dell’eros, della prima goccia che genera la sessualità nell’essere umano, e ho scavato a fondo per poi realizzare questo lavoro che parla innanzitutto dell’androginia, quindi del maschile e del femminile presenti in ogni essere umano, ed è legato anche a dei principi alchemici, il tutto racchiuso nella visione del seme maschile che feconda e dà vita a tutto il pensiero che io ho raccolto in quest’opera”.

E anche Alfonsi racconta di essere particolarmente legato ad alcuni lavori di Grasso.
“È raro che riesca a concentrarmi su un’opera singola, lavoro sempre sulla poetica dell’artista, ma alcuni scatti mi sono rimasti impressi, soprattutto quelli di frammenti di corpo. Valeriano è un certosino, scava nel dettaglio, e da questo rimango sempre particolarmente colpito”.

Ringraziando entrambi gli artisti per quanto condiviso finora, chiedo loro di racchiudere il modo di fare arte dell’altro in una parola.
“Linea“, dice Alfonsi, “termine che può sembrare generico, ma che nella mia mente raccoglie una serie di elementi, tra cui soprattutto la pulizia e la sintesi. E i lavori di Valeriano lo sono molto, profondamente sintetici ed essenziali, eleganti. Da quando ho cominciato a promuovere i suoi scatti all’interno delle mie mostre, molte persone hanno sottolineato l’eleganza dei suoi lavori. Quindi la parola è linea, perché è essenziale, pulita e raffinata come i suoi scatti”.
“A me viene in mente la parola essenze, conclude Grasso, “perché credo che nell’arte di Emiliano ci sia questo potere di raccogliere le essenze delle cose, sia della parte figurativa in sé, come essenza dell’uomo, della donna o del misto, sia attraverso la simbologia che lui utilizza. I racconti che Emiliano fa con la sua arte sono le essenze di ciò che figurativamente rappresenta”.
Chiara Pirani
