Regia: Stephen Hopkins
“Quando la pistola spara, niente può fermarmi: né il colore, né i soldi, né la razza. In pista non esiste nero o bianco, ma solo veloce o lento.”
Stephen Hopkins, con “Race – Il colore della vittoria”, ha dato forma ad uno spettacolare film storico che rappresenta una delle vicende più controverse della storia dello sport.
La pellicola racconta di James Cleveland “Jesse” Owens (Stephan James) , atleta afroamericano noto per aver trionfato ai Giochi Olimpici di Berlino del ’36, concedendo la dovuta importanza anche al suo background.
Veniamo introdotti nella storia con Jesse che lascia la casa in cui è cresciuto, l’allora fidanzata Ruth (Shanice Banton) e la figlia Glory in una Cleveland devastata dalla Grande Depressione, per andare a studiare all’Università Statale dell’Ohio, con la promessa di un futuro migliore. Il ragazzo sarà subito notato dal coach Larry Snyder (Jason Sudeikis) che lo porterà fino alle Olimpiadi a Berlino: in un clima antisemita e discriminatorio, il giovane riuscirà a raggiungere i propri obiettivi ed a trovarci dell’umanità, come nel caso di Lutz Long, il quale, dopo che Owens fece due salti nulli, gli indicò il punto da cui partire portandolo così alla vittoria ed a registrare un nuovo record.
Con una biografia come questa sarebbe stato semplice realizzare un film toccante, di quelli ruffiani che ti fanno innamorare perdutamente del protagonista e della sua vicenda, invece no! La pecca maggiore di quest’opera è proprio la scrittura: nel corso della visione ci troviamo di fronte ad un protagonista sviluppato in maniera piatta (difatti, nonostante Jesse durante la storia prenda importanti decisioni, spesso ci viene omesso l’iter che lo porta ad agire in determinate maniere facendolo risultare anche incoerente), antagonisti caricaturali e dialoghi piuttosto banali.
Stephan James interpreta un eroe credibile in un lungometraggio con ottime potenzialità ma che, a causa di una sceneggiatura poco ambiziosa, risulta poco più che una lezione di storia, anche se girata magistralmente (e con un cospicuo budget a disposizione), che, tutto sommato, vale la pena vedere.
Elena Novarese