Per oltre un secolo, è stata frequentemente annunciata la fine del medium fotografico. Prima la minaccia sembrava venire dal cinema e dalla televisione, che proponevano immagini in movimento e sonore relegando la fotografia alla preistoria dei mezzi di comunicazione moderni.
Con l’arrivo della fotografia digitale e internet si è avuta l’inflazionare di immagini ripetitive e tecnicamente scadenti. Ma la fotografia è riuscita a scardinare radicalmente le convenzioni del vedere e del rappresentare, combattendo contro la successione delle immagini in movimento dei mezzi cinematografici, dimostrandosi imprescindibile e adattabile, fino a far pensare che alla sua base ci sia un insieme variabile di caratteristiche non riproducibili con altri mezzi.
Vivendo in una società in cui i flussi di contenuti vengono preconfezionati e spinti per essere fruiti dal pubblico in maniera indistinta e veloce, cosa si vede, o meglio, cosa resta ancora da vedere e da percepire in un’immagine che non è in movimento e sonora? Più di un regista ha provato a spiegarlo, approcciandosi al medium fotografico, da Tarkovskij a Kubrick da Kiarostami a Van Sant.
Wim Wenders, esponente del nuovo cinema tedesco , si è avvicinato alla fotografia, spiegandoci che:
“qualsiasi film, comincia con il secondo fotogramma, solo quando due immagini dialogano inizia il montaggio e si muove una storia. Le fotografie dunque sono film potenziali, mai davvero iniziati: Fare fotografie mi dà conforto per tutti i film che non ho fatto”.
Wenders, trovatosi ad operare negli anni 70, in un clima in cui i registi tedeschi misero in discussione se stessi e i loro paesi, in cui c’era così tanto da ripensare e da criticare non ci stupisce che fosse ossessionato dall’identità e dalla storia. Proprio su questa si posano le fondamenta del nuovo cinema tedesco. Pensando agli anni 70, ci tornano alla mente registi come Coppola, Scorsese, Spielberg, ma al di là dei grattacieli di Los Angeles e delle luci di New York si apriva un mondo nuovo. Dopo la costruzione del muro di Berlino e la divisione della Germania, ad est aveva iniziato a prendere piede la DEFA, una grande casa di produzione.
Wenders ad esempio nei suoi film ha cercato di definire l’identità tedesca in relazione con l’America. L’America peraltro è stata anche il punto di partenza per una delle sue raccolte fotografiche.
In linea con la poetica di Hopper che ci ha mostrato nei suoi paesaggi urbani la solitudine delle metropoli, il regista tedesco, ci presenta una panoramica sulla realtà statunitense fatta di spazi e di viaggi, di strade, negozi, salotti e distributori di Coca-Cola. Gli ambienti geografici, urbani, architettonici, umani, sono i soggetti della sua ricerca fotografica, per citare uno dei suo film , potremmo definirlo ‘’Wenders nelle città’’. Lui ci spiega che i paesaggi danno forma alle nostre vite, plasmano il nostro carattere, definiscono la nostra condizione umana, facendoci scoprire storie, facendoci attribuire un valore più complesso di quello che si può dare ad un semplice luogo.
Wenders però, è pur sempre un regista e a differenza del medium cinematografico con il quale è abituato a ripetere i ciak , ci racconta che con la fotografia , bisogna approcciarsi in maniera differente, prendere quello che da poiché la realtà non si può manipolare. Il regista tedesco, inoltre, ci spiega come grazie alla fotografia, riesca a ribaltare i rapporti tra luogo e persone:
“Nei film, per quanto ti sforzi, i luoghi scompaiono a sfondo della trama e degli attori. Nella fotografia cerco di ribaltare i ruoli e di far diventare i luoghi i protagonisti dell’immagine’’
Cabiriams Staff
Bellissimo articolo. Molto interessante!!!
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