[O creature fragili
del genio onnipossente!
Forse noi siamo l’ homunculus
d’un chimico demente,
forse di fango e foco
per ozïoso gioco
un buio Iddio ci fe’.]
Nietzsche affermò: “Dio è morto” e il suo grido non rimase inascoltato, ma riecheggiò all’unisono con altre grida disperate, portavoce dell’incertezza e dell’abbandono. Uno squarcio che apre gli occhi, la lama di rasoio violenta e decisa, a cui, volenti o nolenti, dobbiamo chinare il capo. Perché la realtà ignorata non si annulla, ma rimane quiescente, finché non si ridesta e riemerge alla luce del giorno.
Forse con poca originalità, ma estremamente innovativi per il panorama culturale italiano, gli scapigliati provarono, con più o meno successo, a comunicare la morte di Dio: la morte dei valori, la morte dell’Ideale maiuscolo, a cui tende lo spirito, ormai corrotto dal veleno del presente. Così tacciono le speranze e l’angelo, che dovrebbe librarsi in volo a declamare il bello e il Vero, siede a terra sconfitto, degenerando nei vizi e nella perdizione. E’ un gioco a perdere, dove la bontà si macchia del peccato e la malvagità, rappresentata dal demone, si redime, per poi accorgersi che le sue speranze sono vuote e inconsistenti, ripiombando nell’abbandono di una vita triste e vuota.
Tutto sembra essere uno scherzo crudele nella visione disillusa di Boito: la vita è la burla peggiore e l’arte, ultima risorsa, diventa uno strumento privo d’efficacia. Si riduce tutto al passatempo di una divinità, malvagia e corrotta, che, senza alcun riguardo per le sue creature, si sollazza a torturarle, finché, annoiato, le “schiaccerà col piè”.
“Un agitarsi alterno/tra paradiso e inferno/che non s’accheta più!”: ecco la condizione umana. Una realtà vecchia di un secolo e mezzo, eppure ancora attuale, pesante e stanca, dove l’unica domanda che affiora dal pantano del vero minuscolo è “a quale scopo?”. Forse una domanda più contemporanea che ottocentesca e, tuttavia, è proprio questo che si chiede il poeta, quando ogni strada percorribile viene sbarrata e anche la speranza di un dio misericordioso si tramuta in disperazione, rassegnata alla bestemmia contro Colui che per gioco ci ha forgiati dal fango e dal fuoco.
E’ un ribellarsi alla contemporaneità borghese benpensante, che l’autore disprezza, contro coloro che hanno distrutto il suo mondo, ovvero l’arte e la parola.
Oggigiorno abbiamo imparato a dipendere dall’artificialità del mondo contraffatto contro cui si scagliavano le parole del poeta e, tuttavia, a volte, giunge a noi l’eco dei suoi versi, che ci ricorda, in fondo, che il vero superficiale e scarno dell’oggetto acquistato e del freddo schermo non potrà mai sostituire pienamente il Vero del sentimento e del contatto umano.
Anna Sintini