Dunkirk è il decimo lungometraggio realizzato dal regista inglese Christopher Nolan, uno degli autori cinematografici contemporanei più acclamati da pubblico e critica negli ultimi anni e responsabile di lavori come Memento (2000), Inception (2010), Interstellar (2014) e la Trilogia del Cavaliere Oscuro (2005, 2008, 2012). Ma, per la prima volta nella sua carriera, il regista inglese non ci mostra una storia intrigante e fantasiosa con personaggi forti a muoverla come al suo solito: Dunkirk è una storia vera. Una battaglia vera. Una sconfitta.

Siamo nel 1940, Seconda guerra mondiale. La Francia è invasa dall’esercito tedesco e gli alleati inglesi, circa 400.000 soldati, vengono respinti e confinati sulla spiaggia di Dankerque, dove attendono disperatamente di essere evacuati e riportati in patria, mentre l’aviazione tedesca li tiene costantemente sotto tiro. Winston Churchill rifiuta la resa con la Germania e per recuperare i soldati vengono impiegate, in un’impresa apparentemente disperata, imbarcazioni civili per permettere alla flotta militare di difendere il Regno Unito, mentre la Royal Air Force cerca di contrastare gli aerei della Luftwalle tedesca. Per la prima volta Nolan, quindi, affronta la dimensione della storia. Il film è diviso in tre linee narrative di diversa lunghezza, come indicato dai titoli in sovrimpressione: 1. il molo (ambientato nell’arco di una settimana), 2. il mare (ambientato nell’arco di un giorno), 3. il cielo (ambientato nell’arco di un’ora). In questo scenario i protagonisti sono i civili, i soldati e i piloti inglesi che in uno sforzo comune riescono nell’impresa impossibile di cambiare le sorti della guerra, nonostante la disfatta a Dankerque.

Al di là del sentimento patriottico che pervade una simile sceneggiatura che potrebbe far storcere il naso a qualcuno (soprattutto a qualche francese), il film ci mette ancora una volta di fronte alla maestria di Nolan come regista e sceneggiatore. Con una regia fatta principalmente di dettagli, di primi e primissimi piani, il regista inglese ci costringe nella dimensione soffocante della guerra, un mostro spaventoso fatto di rumori assordanti, esplosioni e spari improvvisi, di morti e feriti onnipresenti. Il nemico e la guerra sono riassunti come un’unica entità astratta, i Tedeschi si vedono in macchina solo per pochi minuti, per di più sfocati, e ciò che Nolan lascia di loro sono gli elementi più tipici del conflitto bellico: il fuoco, la morte, le bombe, i proiettili. I soldati inglesi rappresentati non sono eroi, sono ragazzi disperati e spaventati disposti a tutto pur di fuggire arrivando alla follia (i personaggi di Cillian Murphy e Harry Styles, quest’ultimo lodevole alla sua prima prova come attore), i personaggi sono senza nome o a questo non viene attribuita importanza, e proferiscono pochissime parole, sono corpi vivi vissuti dalla guerra e sopravvissuti a questa. In tale lettura stona in qualche modo nel finale il personaggio di Tom Hardy, un eroico aviatore che, come un angelo custode, riesce a difendere i soldati fino all’ultimo, andando in contrasto con la pretesa di verosimiglianza esposta per tutto il film. Nonostante ciò, Dunkirk è un film atipico tra i War Movie, sicuramente uno dei più significativi degli ultimi dieci anni e che si situa da qualche parte tra Apocalypse Now, King and Country e The Thin Red Line e che fa collocare Christopher Nolan in un nuovo livello tecnico e autoriale, grazie agli esperimenti con le camere IMAX a mano impegnate per la prima volta in questo film ( irato quasi interamente su pellicola) e alla sceneggiatura scritta (come rivelato dal regista a Business Insider) nel tentativo di ricreare l’illusione uditiva della scala di Sheperd, ovvero l’illusione che un suono cresca di intensità e tonalità col passare del tempo (principio secondo il quale è stata scritta anche la colonna sonora di Hans Zimmer), riconfermandosi uno dei registi più abili e interessanti del ventunesimo secolo.

Marco Andreotti 

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