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“Esito ad etichettarlo come il “peggior film dell’anno” quando “peggior film del secolo” gli si addice ancora di più”: così il critico del New York Observer Rex Reed ha parlato di Mother!, il nuovo controverso film di Darren Aronofsky. E se generalmente la critica è stata meno severa di Reed (si parla di uno score del 68% su Rotten Tomatoes e di un 74/100 su Metacritic), non si può certo negare che sia il pubblico che i giornalisti non si siano trovati completamente divisi a riguardo.
A partire dai fischi in sala stampa alla 74esima Mostra del cinema di Venezia, dove il film partecipava in concorso ufficiale, passando dall’epocale F su CinemaScore, si arriva poi all’entusiasmo a quattro stelle di testate come IndieWire e Screen International e, in ambito italiano, alla positiva recensione di Francesco Alò.
Una cosa su cui si può essere più o meno tutti d’accordo è il coraggio che la Paramount ha avuto nel promuovere un film del genere, e soprattutto nel come ha promosso il film. La campagna promozionale è partita a maggio ed è stata curata personalmente da Aronofsky in ogni suo passo. Si è partiti con un tweet del regista per il Mother’s Day americano (touché) in cui è stata rilasciata la prima immagine: Jennifer Lawrence ritratta come madre natura con un sanguinante cuore in mano. Inquietante ma eccitante. Poi a fine luglio, solo due mesi prima del debutto nei cinema, il primo teaser e poco dopo il trailer ufficiale, accolto con circa 8 milioni di visualizzazioni. L’hype che si è creato è stato fortissimo: ciò che è passato è stato un angosciante thriller psicologico con una Jennifer Lawrence in preda ad un attacco isterico, una casa violata e degli invasori – tutto fighissimo. Per non parlare del poster promozionale che fa eco a Rosemary’s Baby di Polanski e che non può non veicolare certi significati e atmosfere. In tutto questo, Aronofsky non ha voluto lasciare dichiarazioni, e se solitamente giornalisti e professionisti del settore vedono un film più o meno un mese prima che esca, a quel punto solo in pochissimi avevano visto il film e quei pochi avevano dovuto firmare un accordo di segretezza prima di assistervi. Insomma, tutto avvolto in un grande ed enigmatico mistero.
Ma quindi di che diavolo parla Mother? Perché ha diviso così tanto?
Il film è nell’insieme una grande allegoria, che si ispira principalmente al racconto biblico, diramandosi però in altre metafore e molteplici sottotesti. Jennifer Lawrence è la madre, madre natura, la creatrice della casa. Javier Bardem, suo marito, è anch’esso creatore, ma un creatore in difficoltà poiché privo di ispirazione e quindi bloccato nel processo creativo. La casa, che è la creazione, viene invasa da un uomo e da una donna, Adamo ed Eva (Ed Harris e Michelle Pfeiffer) e poi dai loro figli, che rappresentano Caino e Abele, facendo poi degenerare la situazione in un lettarale inferno in terra, cruda messinscena di tutte le più oscure e inquietanti esperienze umane.
Dice Aronosfky:
“Mother! Inizia come la storia di un matrimonio. Al centro della trama una donna alla quale viene chiesto di dare, dare e ancora dare fino a quando non le resta più nulla. Alla fine della storia, non è più in grado di contenere la pressione che sta ribollendo al suo interno”.
Jennifer Lawrence non è semplicemente la protagonista, ma è l’ancora emotiva ed estetica di tutto il film. Con 66 minuti di screen-time su 121, il film si muove letteralmente con lei, seguendola in ogni suo movimento: “volevo che il pubblico fosse nella testa del personaggio per tutto il film e vivesse la sua esperienza”, dice il regista. Il già in passato direttore della fotografia di Aronofsky Matthew Libatique ha affermato che la soggettività nei suoi film è cresciuta sempre di più a partire da The Wrestler, ma è con Mother! che è diventata ancora più estrema: la videocamera è connessa fisicamente al personaggio per tutto il tempo, e difatti il linguaggio filmico è sintetizzabile principalmente in tre tipi di inquadrature, ovvero oggettive del personaggio mostrato da solo, semisoggettive che connettono il personaggio con lo spazio e soggettive che mostrano il suo punto di vista. Il rapporto con la casa non è quindi solo intellettuale, ma anche sfacciatamente fisico, un rapporto di reciproca appartenenza e identità: la protagonista, infatti, gira per casa sempre scalza, si appoggia alle pareti per scendere le scale, rompe continuamente oggetti per terra, cerca ostinatamente di mantenere tutto in ordine. Vive la casa come se fosse un vivo essere, sentendone anche il respiro, il battito cardiaco.
La riflessione sull’umano diventa universale facendosi una riflessione sulla vita e sulla Terra: “sono tempi folli in cui vivere. La popolazione mondiale sta per sfiorare gli 8 miliardi, mentre gli ecosistemi collassano e le crisi migratorie fanno traballare i governi. Palesemente schizofrenici, gli Stati Uniti aiutano a negoziare un trattato epocale sulla questione climatica, per poi chiamarsi fuori solo alcuni mesi più tardi. Come specie, il nostro impatto è diventato pericolosamente insostenibile, ma continuiamo a vivere in uno stato di negazione delle prospettive che gravano sul pianeta. Una mattina mi sono svegliato da questo brodo primordiale di angoscia e impotenza e ho visto questo film sgorgare come da un sogno delirante”.
Nel weekend di apertura il film ha incassato solo $7.5 milioni, e considerando che è stato proiettato in più di 2400 cinema e che il suo budget è stato di $ 30 milioni, si può dire che il risultato non è stato dei migliori, risultando inoltre il peggior esordio nazionale per un film con Jennifer Lawrence. Riguardo alla questione della F su CinemaScore, IndieWire ha difeso a spada tratta il film, pubblicando numerosi articoli a riguardo, in uno dei quali si rifletteva sul fatto che questa reazione è stata data dalla grande delusione delle aspettative, e ciò si ricollega al discorso sulla campagna marketing. CinemaScore non misura la qualità intrinseca di un film, ma il suo appeal con il pubblico: certamente, un film che è stato così criptico nella promozione fin dall’inizio, non poteva che lasciare sbalorditi. Perché forse non si potrebbe neanche condensare in un trailer di due minuti il vero significato di questo film, e forse è anche logico che sia così. Se i film che non piacciono tendono ad avere delle C, quelli che non corrispondono alle aspettative vengono bollati con una F: ed ecco perché Mother! ha diviso così tanto, è stato fischiato a Venezia e nel contempo è stato accalmato dalla critica, è stato applaudito da metà dal pubblico in sala, mentre l’altra metà l’ha odiato o ha abbandonato a metà proiezione: ci si aspettava un “normale” thriller e ci si è ritrovati con una allegoria biblica e una riflessione sulle “magnifiche sorti e progressive”. O non ci si aspettava niente e ci si è ritrovati con questo film. O magari nessuna delle due, si è semplicemente preso il film per quello che è, consci dell’hype o meno, e lo si è apprezzato oppure no. E Aronofsky ne è perfettamente consapevole: “Ci sono molti modi per intrattenere, a vedere il mio film vieni solo se sei pronto a fare le montagne russe più volte. Non parto dall’idea preconcetta di essere diverso o provocatorio, ma da qualcosa che sento, da cui partire per iniziare a visualizzare.”
Bianca Ferrari