Oggi parliamo di un’opera contemporanea, opera che tuttavia trattiene nella sua essenza tutta la bellezza, la grandezza e la magnificenza delle grandi opere rinascimentali, ed è proprio da questo periodo che deriva l’influenza artistica (di ammirazione certo, soprattutto verso Michelangelo, ma che non nasconde quel velo di sfida) di Jago.
Come tutti i grandi artisti che si rispettino, Jago non si è mai piegato a nessun tipo di imposizione, tanto meno a quelle che volevano manipolare il suo talento. Sotto le sapienti mani dell’artista, il marmo sembra abbandonare la freddezza che lo caratterizza e trasformarsi in qualcosa di fortemente vivo, caldo, fatto di carne, sangue, vene e pelle.
Habemus Ominem (2009-2016), è una scultura a tutto tondo rappresentante il busto dell’allora papa Benedetto XVI (Joseph Ratzinger), in cui il corpo era stato modellato sul marmo bianco. L’opera gli valse nel 2012 l’Onorificenza della Santa Sede della “Medaglia Pontificia”, consegnatagli dal Cardinal Ravasi e dal Segretario di Stato Cardinal Bertone, presso la sede del Pontificio Consiglio per la Cultura a Roma. Un dettaglio della scultura però indignò il Vaticano, ovvero la mancanza degli occhi del Pontefice, che gli valse un primo rifiuto dell’opera.
Quando nel 2013 fu comunicata la notizia delle dimissioni del papa, Jago decise d’impeto di stravolgere l’opera. Così come il papa si era spogliato delle sue vesti, così si sarebbe spogliata l’opera, decidendo stavolta di riempirgli gli occhi e “donargli la vista”. Con questo cambiamento, l’artista vuole comunicarci una sorta di ritorno all’uomo. La perdita delle vesti papali, fatte di formale sacralità, rappresenta un processo di spoliazione per giungere a quell’essenza fatta di carne, vene e pelle. Ma come dice lo stesso Jago: “Non ho spogliato il Papa, mi sono spogliato, messo a nudo davanti ai miei stessi condizionamenti, comprendendo il valore più intimo del fare sculture, che è manifestazione della mia vera natura. Essere scultore, togliere il superfluo, è il solo modo che ho per lavorare su me stesso”. Ciò che risalta all’occhio dello spettatore non è soltanto la precisione magistrale di ogni solco e ruga scavati nel marmo bianco, quanto piuttosto l’apparente assenza del suo sguardo. Illuminato da un tenue bagliore, il busto sembra seguire ogni movimento dello spettatore stesso, che resta basito davanti alla sua tutt’altro che assente presenza scenica.
L’impatto scenico delle opere di Jago non si ferma qui: egli non è solo un abilissimo scultore, ma osservando le sue creazioni vediamo come passato e tradizione si fondono con creatività, genialità e visione moderna. Le molteplici capacità artistiche gli permettono, infatti, di realizzare prodotti estremamente interessanti in cui video, musica, scultura e disegno sono parte della stessa storia e interagiscono continuamente l’una con l’altra, regalandoci qualcosa di nuovo dove il classico incontra con sensata armonia il moderno e la tecnologia.
Jago è il nome con cui possiamo trovare Jacopo Cardillo, classe 1987, su ogni profilo social, compreso il suo sito. Nato a Frosinone, ebbe presto l’ambizione di voler superare i propri limiti, il che lo spinse a combattere una battaglia contro i pregiudizi della società che, di fronte a uno studente privo di un qualunque tipo di licenza universitaria, avrebbe scartato a priori le sue doti. Si definisce perciò un autodidatta: seguire i precetti di un professore che impone un suo metodo teorico non è utile alla propria arte, se si vuole creare un metodo di lavoro del tutto personale ed autentico.
Tommaso Amato