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La Vocazione di San Matteo fu realizzata tra il 1599 e il 1600, dietro commissione della famiglia Contarelli; attualmente il dipinto, un olio su tela, è esposto a Roma all’interno della Cappella Contarelli nella Chiesa di San Luigi dei francesi.

L’opera è ispirata all’episodio raccontato in Matteo 9-9-13, in cui Cristo sceglie il gabelliere Matteo come suo apostolo. La scena è ambientata in un locale buio, quasi fosse una di quelle taverne frequentate dallo stesso artista; all’estrema destra della tela vi sono Cristo, che tende il braccio destro in direzione del futuro apostolo (chiaro riferimento alla Creazione di Adamo realizzata nella Cappella Sistina da Michelangelo) e San Pietro, ritratto quasi di spalle, che lo accompagna. Seduto al tavolo insieme a quattro “compari”, che indossano dei vestiti contemporanei al periodo storico di Caravaggio, come se volessero trasmette la percezione dell’artista dell’attualità della scena, Matteo viene colto nel momento in cui, stupito dall’inaspettato invito, reagisce in maniera naturale, accennando interrogativamente a se stesso con l’indice della mano sinistra, come per assicurarsi che Cristo si stesse rivolgendo proprio a lui. Dei cinque personaggi, solo Matteo e i due giovani di destra si accorgono della presenza di Cristo, con il quale incrociano un complesso gioco di sguardi. Il vecchio con gli occhiali e il suo giovane assistente sono invece intenti a contare i denari.

La chiamata di Dio, sembra comunicarci il dipinto, è sempre rivolta a tutti gli uomini, ma ciascuno è libero, secondo la propria coscienza, di aderirvi o di respingerla, decidendo quindi anche della propria salvezza o della propria dannazione. Simbolica è anche la luce, protagonista indiscussa della tela, che viene emessa dalle spalle di Cristo (e non dalla finestra a destra), che con il suo braccio teso la proietta simbolicamente sugli altri cinque personaggi che a loro volta ne risultano rischiarati e quasi accesi. Si tratta dunque di una luce spirituale, la luce della grazia divina. Per realizzare tale effetto visivo, l’artista fece uso di una camera oscura, in cui organizzò una sorta di scena teatrale, facendo assumere ai modelli le pose in cui intendeva ritrarre i personaggi e aprendo sulla composizione solo uno spiraglio di luce, regolando l’apertura della finestra in modo da ottenere un fascio radente.

Il dialogo tra Cristo, Pietro e Matteo  ha una valenza simbolica: il gesto di Cristo, ovvero protendere la mano, viene ripetuto da Pietro, simbolo della Chiesa Cattolica romana, che media tra il mondo divino e quello umano, e viene ripetuto a sua volta da Matteo; è la rappresentazione della salvezza che passa attraverso la ripetizione dei gesti istituiti da Cristo e ripetuti, nel tempo, dalla Chiesa.

Michelangelo Merisi, più noto come il Caravaggio (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610), è stato uno dei più grandi pittori italiani, ottenendo una fama universale solo nel XX secolo, dopo un periodo di oblio. Formatosi tra Milano e Venezia e attivo a Roma, Napoli, Malta e in Sicilia fra il 1593 e il 1610, i suoi dipinti, che combinano un’analisi dello stato umano, sia fisico, sia emotivo, con uno scenografico uso della luce, hanno avuto forte influenza sulla pittura barocca.
Animo particolarmente irrequieto, nella sua breve esistenza affrontò molte vicissitudini. Data cruciale per l’arte e la vita di Merisi fu il 28 maggio 1606: responsabile di un omicidio durante una rissa e condannato a morte, dovette sempre fuggire per scampare alla pena capitale.

Tommaso Amato

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