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Tutti sappiamo già il finale. Il 16 luglio 1969 Neil Armostrong è stato il primo uomo a mettere piede sulla luna. Quello dello sbarco sulla luna, il grande passo per l’umanità, è forse uno dei momenti in cui lo sguardo umano è stato il più attento, il più meravigliato, della storia umana. Lo sguardo, quindi: è lo sguardo ad essere il vero protagonista dell’ultimo film di Damien Chazelle, First Man (Il primo uomo), il film che apre oggi il concorso ufficiale della 75esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia.

Co-produzione Universal Pictures con Dreamworks, il film vede Steven Spielberg tra i produttori esecutivi e un cast quasi interamente da premio Oscar, con molti che hanno già collaborato con Chazelle nei suoi due lavori precedenti (Whiplash e La la land), dagli attori al montatore, passando per la costumista e il compositore delle musiche (quest’ultimo l’amico dai tempi del college Justin Hurwitz, autore della colonna sonora di La la land). Il film parla degli ultimi anni della vita di Neil Armstrong, interpretato da Ryan Gosling, prima della famosa spedizione sull’Apollo 11, non concentrandosi tanto sulla vita di Armstrong in sé (infatti, come ha ribadito più volte lo stesso regista, il film non è affatto un bio-pic), ma sugli ultimi eventi che lo hanno portato dritto sui libri di storia. Co-protagonista è Claire Foy (famosa per il suo ruolo nella serie Netflix The Crown), che interpreta la moglie dell’astronauta Janet Armstrong.

Con First Man, Chazelle tenta l’impossibile, cercando di rendere autentico quello sguardo viriginale sulla terra lunare che solo Armstrong stesso può avere vissuto in quanto primissimo sguardo sulla nuova frontiera. Perché tutti gli sguardi che seguiranno, da quel momento in poi, non saranno mai più puri quanto il primo: non lo sarà nemmeno lo sguardo della prima macchina che ha immortalato i suoi passi (la tecnologia viene filmata qui con un amore davvero particolare), non lo saranno le immagini trasmesse al mondo intero, non lo saranno le infinite repliche e gli infiniti re-make che ne saranno fatti. Chazelle tenta quindi di rendere lo sguardo di Armstrong diverso da tutto quello che abbiamo sempre visto quando si parla di imprese lunari, e lo fa costruendo dall’inizio un focus strettissimo sul suo protagonista. Dai primissimi piani ad evidenziare il suo sguardo – in cui spesso e volentieri si riflette ciò che sta guardando, che si piega e si distorce su finestrini e su caschetti spaziali – ai dettagli, alle soggettive che spesso e volentieri guardano in alto verso la Luna (e poi dalla Luna sulla Terra), lo sguardo diventa non solo la poetica del film ma anche ciò che ci dà conoscenza.
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Chazelle riesce in questa operazione e ci fa calare perfettamente nei panni dell’astronauta e delle sue emozioni, rendendo quella cinematografica un’esperienza immersiva all’interno dello stretto spazio delle navicelle. Questa immersività è resa anche grazie alla fotografia del premio Oscar Linus Sandgren (American Hustle). Il tono bluastro, le atmosfere spesso notturne o comunque in interni e il quasi costante regime di visione dalla parte del protagonista risultano coerenti per tutto il film, rendendo lo stacco Terra-Spazio quasi impercettibile, come se lo spazio stesso non fosse che un limite astratto. È lo sguardo che crea lo spazio e la conoscenza: due operazioni che non facciamo né prima né dopo il protagonista, ma esattamente insieme a lui.

Un altro punto favorevole è quello della sceneggiatura di Josh Singer (Il caso Spotlight, The Post), che dall’inizio del film tesse la sua tela, suggerendo alcuni gesti che scopriremo essere importanti solo molto più in là. Piccoli gesti diventano, in ultima battuta, gesti plateali: una costruzione in crescendo poco ribadita, poco evidenziata, ma suggerita un po’ alla volta. Così una carezza, un’ombra proiettata su una superficie e alla fine ovviamente un’impronta non potranno che essere estremamente significative.

First Man sarà nelle sale italiane a partire dal 31 ottobre 2018.

Bianca Ferrari

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