Suspiria

Era lecito essere pervasi da una discreta dose di scetticismo nei confronti di Suspiria, film che segna l’approdo di Luca Guadagnino al genere horror e che, per ammissione del regista stesso, sarebbe da considerarsi come il suo “vero esordio”.
C’erano dei dubbi riguardo la motivazione che poteva aver portato alla realizzazione di una nuova versione del film cult di Dario Argento, un’opera che ancora oggi possiede la capacità di sorprendere per la pregevolezza della propria fattura e la modernità del suo impianto visivo.

La grande sfida di Guadagnino era, quindi, quella di rendere necessario un remake di cui non si sentiva assolutamente il bisogno. Sfida che il regista accetta e riesce a vincere giocando prima di tutto d’astuzia, dando vita ad un film che pur mantenendo lo stesso titolo ed alcuni snodi narrativi della trama originale, si distacca completamente dall’opera di Argento per dare vita ad una visione completamente diversa della storia.

Suspiria

I cromatismi esasperati della fotografia di Luciano Tovoli lasciano spazio a delle atmosfere decisamente più sobrie e cupe, all’interno di una Berlino degli anni Settanta il cui fermento e le tensioni vengono fatti percepire sin dalla prima scena. Questo è il contesto in cui si svolge il film, il quale non abbandonerà mai il proprio contatto con la realtà, ma che attraverso e grazie ad essa riuscirà ad allestire il proprio racconto del terrore. Un film in cui l’omaggio di Guadagnino nei confronti del “Maestro del brivido” è più profondo di quanto non possa apparire ad una lettura superficiale, che si concretizza proprio attraverso lo stravolgimento del Suspiria del 1977.
Ma principalmente questo è un film che appartiene al suo autore, il quale declina il proprio stile sensoriale e la capacità di creare uno strettissimo legame tra i corpi dei personaggi e le necessità del genere orrorifico, con il risultato di produrre delle sequenze dal fortissimo impatto. In questo modo una scena di danza può apparire come fosse una possessione ed una coreografia collettiva come un rito profano e demoniaco. Quello di Guadagnino è un film dosato per la maggior parte della propria considerevole durata, la tensione viene costruita con maestria fino al parossismo finale, che rappresenta sotto diversi aspetti il più grande omaggio nei confronti di Argento e che proprio come le prime opere argentiane è destinato a far discutere, forse ad indignare e probabilmente a polarizzare il pubblico.

Una caratteristica che può essere considerata come uno dei principali pregi di un film che trova il suo unico limite nella pretesa di voler raccontare troppo rispetto al necessario, ma che possiede anche una forza tale da permettere di sorvolare sulle sue sbavature, regalando al pubblico di oggi il proprio incubo all’interno di quel salone in cui le streghe danzano.

Andrea Pedrazzi

 

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