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Lasciamo stare le definizioni: documentario, non-fiction, reportage sono termini riduttivi per parlare di What You Gonna Do When The World’s on Fire? di Roberto Minervini, come lui stesso chiarisce. Marchigiano di nascita ma americano di adozione, Minervini voleva fare il reporter di guerra: l’approdo alla regia non è stata una sua scelta ma una necessità – che persegue senza mai adeguarsi a nessun parametro – la necessità di mettere le persone prima di tutto. What you Gonna Do imprime sulla pellicola in bianco e nero l’America del ghetto, della violenza, della droga, attraverso il racconto della black community di Batoun Rouge (Louisiana) e di Jackson (Mississippi).

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Un pedinamento del reale quello di Minervini, il cui occhio si insinua tra le strade, le case e le proteste e che nonostante l’impassibilità del dispositivo cinema riesce a far trapassare dallo schermo tutto il dolore e la voglia di rivoluzione. Tre sono i focus principali equilibrati perfettamente dal montaggio di Marie-Hélène Dozo: Judy Hill con il suo passato di droga e abusi incanta per la sua capacità di parlare in modo così sincero e puro di argomenti atroci, incanta per la sua voglia di sopravvivenza, la sua non-rassegnazione di fronte a niente. Ci sono poi Ronaldo e Titus, rispettivamente di 15 e 9 anni: le loro scene sono assolutamente necessarie e assurdamente belle, come quella in cui Ronaldo insegna a Titus a fare a pugni, legandogli due asciugamani alle mani con lo scotch, raccomandandosi che picchierà solo se dovrà difendersi e che ha ancora un po’ di tempo prima di arrivare all’età delle pallottole. Ronaldo ha 15 anni ma è già più che un uomo, ha un padre in prigione e una madre con cui si relaziona in modo onestissimo.

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Il terzo focus è quello del New Black Panthers Party for Self-Defense, nuovo partito delle Pantere Nere. Le pantere urlano i loro motti per le strade e davanti ai poliziotti, motti di fierezza e frasi di odio contro il potere e la supremazia del bianco, che nulla ha fatto per dare giustizia ai loro compagni uccisi da poco, Alton Sterling e Philando Castile, la cui morte è solo una goccia rispetto all’oceano della violenza della polizia e dei gruppi estremisti – quali il Ku Klux Klan – contro la comunità nera.

Ciò che lega tutti i racconti è la profonda consapevolezza di tutti quanti, grandi e piccoli  protagonisti, di essere ancora in un momento storico caldissimo, il 2017 di Trump e della gun violence, del razzismo, dell’oppressione. Dobbiamo dire grazie a Minervini e grazie alla Mostra del cinema di Venezia per avere scelto di dare importanza a queste storie.

                                                                                                         Bianca Ferrari

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