Tra le varie opere che negli ultimi anni sono state sviluppate attorno al tema dei traffici illegali al confine tra il Messico e gli Stati Uniti, Sicario di Denis Villeneuve è stato uno dei prodotti più incisivi.

A tre anni di distanza, arriva nelle sale il film che narra il seguito di quegli eventi, e questa volta il compito di tradurre in immagini la sceneggiatura dal celebre narratore di western contemporanei Taylor Sheridan è stato affidato a Stefano Sollima. Con le sue opere cinematografiche precedenti, il regista romano si era mostrato particolarmente a suo agio nel maneggiare materiale di questo tipo.
Si pensi a come in A.C.A.B. o Suburra si possa riscontrare quanto di più vicino al genere Action abbia partorito il cinema italiano negli anni recenti. Il successo televisivo ha fatto il resto, Sollima è stato notato anche oltreoceano e prontamente assoldato per colmare il posto vacante alla regia di questo nuovo film di frontiera.
Gli eventi riprendono in parte quanto già raccontato nell’opera precedente, ma quello che pare chiaro fin da subito è come questo film voglia essere più profondamente radicato nel contesto geopolitico dell’America attuale. Matt Graver (Josh Brolin) è un sadico agente della CIA, il quale viene incaricato dal governo statunitense di innescare un conflitto tra i maggiori cartelli messicani, al fine di tamponare il traffico di clandestini, che tentano di inserirsi illegalmente nel paese. Graver assolda al suo fianco Alejandro Gillick (Benicio del Toro), dal quale viene assecondato in questa missione condotta su un ulteriore esile confine: quello della legalità. Qualcosa andrà storto ed il ritorno verso il luogo sicuro delimitato dalla frontiera degli Stati Uniti si rivelerà un viaggio ostile e doloroso.
Soldado è un film di poche parole, in cui il compito di colmare i silenzi è lasciato ad una sontuosa colonna sonora e all’assordante rumore di pistole, mitragliatrici, elicotteri e qualsivoglia diavoleria bellica.
Ai dialoghi è attribuito l’ingrato compito di spiegare quello che non può essere colto per immagini e ciò che ne consegue è che il film (come le azioni dei suoi personaggi) si sviluppi su una labile linea di demarcazione, non sempre evitando di sconfinare nel territorio della didascalia. Ma ciò che emerge chiaramente in queste due ore che scorrono con estrema fluidità è che l’attenzione sia concentrata altrove. Nel definire personaggi senza scrupoli, i quali non si astengono dal commettere atti atroci pur di raggiungere il loro scopo, prende forma l’affresco di un mondo brutale. A colpire nelle dense scene d’azione non è tanto il rigore stilistico che ormai da tempo si riconosce a questo regista, quanto la rappresentazione della violenza, efficacemente inscenata in tutta la sua disarmante freddezza.

La manifestazione di un odio apparentemente incomprensibile e dal sicuro impatto cinematografico, in un film che, anche sul versante dell’attinenza al reale, può dirsi, nostro malgrado, abbondantemente riuscito.

Andrea Pedrazzi

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