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Mysterious Skin è un film di Gregg Araki, ma è, prima di tutto, un libro di Scott Heim.

In Mysterious Skin, le vite di due ragazzi del Midwest (Kansas), Neil e Brian, si intrecciano per tutta la narrazione: si tratta di due personalità diametralmente opposte, ma che condividono un evento comune, che si ripercuote su di loro in modo differente. Entrambi, all’età di 8 anni, subiscono abusi sessuali dal loro allenatore di baseball. Da quel momento, i due ragazzi non si incontreranno più fino al giorno dello “svelamento” e le loro vite, nel frattempo, andranno avanti segnate, seppur in maniera diversa, da questo trauma.

Quello che potrebbe sembrare l’inizio di un film struggente sulla pedofilia viene completamente ribaltato dalla regia di Araki, che mette in scena questa storia senza giudizio, non definendo dei ruoli chiari tra quelli che possono essere indicati come il carnefice e la vittima. Lo spettatore viene disorientato e costretto a sentire nelle viscere quello a cui sta assistendo, senza sapere da che parte stare. Perché il trauma non ha dei confini netti, viene percepito come ambiguo, sembra essere inspiegabile, assumere dei risvolti inaspettati, essendo qualcosa fuori dall’ordinario. Eppure, si tenta di dargli un senso, poiché il trauma non può essere semplicemente espulso ed eliminato, bensì entra a far parte della propria storia personale e diventa impossibile separarlo da chi si è e da chi si è diventati.

“Mi chiesi se abitava in quella strada dieci anni prima; se aveva conosciuto l’allenatore. E poi mi chiesi quanti altri ce n’erano stati: dove vivevano ora? Come avevano scelto di ricordare?”

Il titolo, Mysterious Skin (letteralmente “pelle misteriosa”), sembra far riferimento a quella pelle che dovrebbe difenderci dall’esterno, da eventi e agenti che potrebbero risultare nocivi. Tale funzione, però, non è del tutto innata: è compito delle principali figure di accudimento, nell’infanzia, sollecitare e tutelare quella “pelle”. Ma non sempre riescono a proteggere il bambino.

La pelle è anche veicolo di comunicazione e centro del piacere. Tale strumento primario di difesa e conoscenza ha una sua rappresentazione psichica, quella che Didier Anzieu chiama “Io-pelle”, l’ultima frontiera di quello che potrebbe appunto essere un trauma. Violata questa barriera, la nostra mente, come l’organismo, può reagire in diversi modi all’intrusione.

Neil e Brian, ormai diciannovenni, hanno trovato il loro modo per rispondere e spiegarsi ciò che hanno vissuto. Brian non ricorda quello che è successo in quelle 5 ore, ha rimosso il contenuto dell’evento traumatico e mostra i sintomi di quello che potrebbe sembrare un Disturbo Post-Traumatico da Stress. Tenta di spiegare questo vuoto con un possibile rapimento da parte degli alieni (simbolicamente qualcosa di “altro”, strano, diverso), diventandone presto ossessionato, anche nei sogni, e perdendo in quel buco della memoria anche un possibile normale sviluppo della propria identità sessuale. Nonostante il suo tentativo di dare un senso, i ricordi, attraverso flashback, svenimenti improvvisi e incubi, iniziano a riemergere, e tutti gli indizi lo riconducono al suo ex-compagno di squadra di baseball.

Al contrario di Brian, Neil è consapevole di quanto successo in quell’estate del 1981. Lui, che era  considerato il bambino “speciale”, il favorito dall’allenatore, ha interpretato quelle esperienze come una forma autentica di amore, cercando di mantenere un Io integro e svincolandosi così dalla possibilità di potersi percepire come fragile e senza controllo. Innamorato e complice dell’allenatore (aggressore), intrappolato in quella che potrebbe sembrare una Sindrome di Stoccolma, Neil attua una coazione a ripetere in cui cerca, fallendo, attraverso multiple esperienze sessuali di prostituzione, di riproporre la scena madre idealizzata. In questo caso, omosessualità (già presente prima dell’abuso nel suo mondo fantasmatico) e trauma si mescolano, si intrecciano tra loro, fissando quella fantasia come ideale amoroso e feticcio. Per Neil, fantasia e realtà coincidono; egli si sente precocemente appagato da un desiderio probabilmente ancora prematuro, a cui si accompagna un bisogno di sentirsi apprezzato e unico. Nonostante ciò, la tenerezza con cui Neil ammira l’allenatore, e successivamente ricorda e cerca nel contatto con altri uomini adulti, sembra qualcosa di inattaccabile e non giudicabile, anche per lo spettatore.

Vicino ai due protagonisti, altri personaggi prendono spazio nella narrazione, ma anche la loro esistenza sembra essere influenzata dagli eventi avvenuti anni prima. Infatti, un trauma non resta mai privato, diventa corale e difficile da contenere da familiari e amici che, in questo caso, cercano di “non vedere” (o di prevenire, in alcuni casi).

“È incredibile cosa sanno le persone. È solo che non dicono nulla, negano le cose a sé stesse, perché non vogliono crederci”.

Gregg Araki non risparmia nulla, e con un ritmo sempre alto, come in un thriller, ci conduce non alla verità, ma agli effetti che questa può avere una volta che si è rivelata per quella che è, senza nessuna difesa, riportandoci a quando si è pronti per contenerla e affrontarla, come si intuisce dalle parole di Brian: “Sono stufo di questa storia. Voglio sognare qualcosa di diverso.”

Marco Quartararo

 

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